Marilena Grill – La Storia

“Le ragazze che a centinaia chiedono di arruolarsi sentono più degli uomini, la vergogna per la fuga dei nostri soldati di fronte al nemico in Sicilia. Esse amano la patria e non vogliono che il mondo rida di noi”

(Piera Gatteschi Fondelli, poi Generale S.A.F., gennaio 1944)

 

Marilena Grill è nata a Torino il 26 settembre del 1928 orfana di padre da quando aveva quattro anni, è sempre vissuta nel capoluogo piemontese insieme alla madre, in un appartamento al n. 25 di Corso Oporto (l’attuale Corso Matteotti). Di fede valdese, con un carattere solare, ha fin da giovanissima maturato uno spiccato senso ideale della Patria, che la porterà nel 1944 ad arruolarsi nel S.A.F. (Servizio Ausiliario Femminile) della Repubblica Sociale Italiana.

Non si conosce con esattezza la data del suo ingresso nelle servizio ausiliario (qualcuno lo fa risalire al luglio del 1944), ma comunque una volta irreggimentata nel corpo viene assegnata alla caserma di Corso Valdocco a Torino, dove svolge servizio nell’’Ufficio Assistenziale Ricerche Dispersi e nel posto di ristoro di porta nuova. Compiti assistenziali e di ricerca, un servizio disarmato, senza incarichi di rilevanza strategica e senza nessun coinvolgimento politico. Marilena ha solo un grande e profondo senso del dovere verso la Patria, che si evince in tutta la sua purezza giovanile nelle parole che nel 1944 disse alla sua commilitona Rosilda Fanolla (1): “Vedi questa lapide con i nomi degli studenti caduti in guerra? Al più finirò col mio nome in questa fila e sarebbe una grande soddisfazione averlo fatto per l’Italia“.

Ricorda l’allora Comandante Provinciale del S.A.F. a Torino, Anna Maria Badia, in una sua testimonianza (2) che all’entrata in vigore del decreto che istituiva il corpo era previsto che il personale femminile che già prestava servizio volontario presso i reparti militari poteva essere arruolato anche se inferiore ai 18 anni di età. E che Marilena (allora sedicenne) potè essere inquadrata nel S.A.F, dato che, dopo aver adempiuto ai suoi doveri scolastici, nel pomeriggio già da qualche mese svolgeva opera di volontariato presso il posto di ristoro per le truppe di passaggio nella stazione di Porta Nuova e, a volte, in altri uffici di assistenza.

Studentessa-militare, Marilena frequentava il Liceo Massimo D’Azeglio in via Parrini e nonostante il servizio ausiliario – e compatibilmente con la situazione contingente – cercò di mantenere un buon andamento scolastico. Nella sua condizione, poteva usufruire delle disposizioni ministeriali che consentivano di ottenere, a richiesta, un congedo da quattro a sei giorni, per essere presenti ai compiti in classe e alle interrogazioni trimestrali. Il 20 aprile 1945 chiede colloquio con la comandante provinciale delle ausiliarie, Anna Maria Bardia, per domandarle 5 giorni di permesso per le prove di fine anno. La situazione contingente iniziava a farsi preoccupante e la comandante che ormai conscia che i giorni della R.S.I. stavano volgendo al termine e della brutalità di certi avversari animati solo da odio e rancore, propose a Marilena di stare a casa per 15 giorni, per meglio prepararsi alle interrogazione e far così onore alla divisa che indossava. Cerco anche di metterla in guardia da eventuali pericoli in cui sarebbe potuta incorrere, ma che lei, nella sua visione giovanile, pensava fossero quelli insiti nella guerra che lei aveva accettato nel suo servizio alla Patria. Non poteva certo immaginare il livello di barbarie che sopraggiunse con la fine della guerra dove l’odio e la rabbia, delle fazioni comuniste, esplosero incontrollate verso chiunque fosse additato come “fascista”.

Bastava un non nulla, un sospetto per finire nelle liste di proscrizione dei partigiani, una delazione (nessuno si curava certo di verificare se era fondata o fosse frutto di invidie o rancori) o un sospetto per cadere vittime di quella terribile  mattanza che si protrasse fino al mese di maggio. Ed era in questo clima che Marilena fu prelevata dalla sua abitazione il 28 aprile 1945.

Sua madre, Silvia Grill, ha raccontato a Rosilda Fanolla (3) che il 28 aprile un compagno di scuola di Marilena si presenta a casa sua dicendole che c’erano delle persone che volevano farle delle domande. Nonostante le madre cercasse di dissuaderla, lei – sicura di non aver nulla da temere – si mise la divisa e uscì con quel ragazzo che probabilmente l’accompagnò dai partigiani che l’aspettavano sotto casa per portarla alla caserma “Valdocco”, luogo da cui non avrebbe mai più fatto ritorno.

I motivi per cui Marilena fu prelevata s’ignorano, rimane a tal proposito quello che la signora Grill disse alla Fanolla, ovvero che era stato questo ragazzo a denunciarla.  Forse la madre aveva qualche elemento per asserirlo (e non ha mai voluto parlarne) o, semplicemente, era una conclusione dovuta al fatto che lui la andò a prendere.

Dopo essere stata prelevata la ragazzina fu portata nella caserma dove prestava servizio, al momento occupata dai partigiani della 18ª brigata Garibaldi. Da quel momento quello che le successe non ci è dato sapere. Possiamo comunque avvalerci di due testimonianze riguardo a quei giorni di prigionia, due testimonianze che lasciano presagire quello che possa aver subito Marilena. La prima è di Rosilda Fanolla che ricorda durante il colloquio con Massimo Novelli (4): “mi dissero che l’avevano violentata prima di ucciderla al Rondò della Forca nella notte fra il 2 e il 3 maggio del 1945“. Una seconda testimonianza, di una compagna di classe di Marilena, Franca Rome (5) che ricorda: “A scuola lo abbiamo saputo dopo che Marilena era sparita. Seppi che era stata rapata, come succedeva in quei giorni alle ausiliarie, prima di essere uccisa“.

La notte tra il 2 e il 3 maggio 1945 Marilena Grill ed Ernesta Raviola vengono portate al Rondò della Forca per essere fucilate. Il comandante del plotone è Alberto Polidori, ma probabilmente per un impeto di pietà (forse per la giovane età o forse per quel che avevano subito, non si può sapere) si rifiuta di sparare sulle giovani sventurate, correndo il rischio di essere fucilato lui stesso. A quel punto il comandante della Brigata Piero Sasso, detto Pierin d’la Fisa, le uccide con un colpo alla testa (o con una sventagliata di mitra secondo altre versioni) ponendo fine alle giovani vite di Marilena e di Ernesta. I corpi furono lasciati sul posto dai partigiani e solo successivamente portati al cimitero o all’obitorio dove qualcuno di buon cuore avvisò i parenti. Ora Marilena riposa nell’ala valdese del cimitero monumentale di Torino.

Perchè la prelevarono? Su cosa la interrogarono?  Rimarranno domande senza una risposta, come rimarrà anche un mistero quel che le successe in quei giorni di prigionia. La suddetta testimonianza della Rome, riporta che venne sottoposta all’umiliazione della taglio di capelli a zero e non è, purtroppo, da escludere che sia stata picchiata o violentata. Certo non ci sono testimonianze dirette in tal senso, ma  nel clima di quei giorni non era certo inusuale che si perpetrasse questo tipo d’infamia.

E rimarrà un mistero anche il perchè Marilna fu uccisa. In fondo cosa poteva sapere? Quali segreti poteva conoscere? O cosa poteva aver fatto da giustificare una condanna a morte? Ma forse non c’entravano le motivazione dell’interrogatorio. La guerra era finita, anche se le vendette e gli assassini si protrasse ancora a lungo, a breve le brigate sarebbero state smobilitate. Forse lei e le altre ausiliarie erano ormai diventate prigionieri scomodi e non sapevano cosa farsene, o magari erano ridotte in uno stato tale che era meglio inscenare una bella esecuzione con cui cancellare le prove degli eventuali misfatti. E’ solo un ipotesi ed è sicuramente terribile, ma purtroppo cose del genere accadevano. Una testimonianza in questo senso l’ha riportata la figlia del Vicefederale di Genova, prigioniero alla Colonia di Rovegno e ucciso dopo la fine della guerra, che chiedendo ad un partigiano, come mai avessero ucciso lui ed il fratello, l’agghiacciante risposta fu “Erano fascisti e poi non potevamo lasciarli andare per come erano ridotti”. (6).

Non c’è un senso in questa tragica vicenda. Non c’è un senso nell’uccidere una ragazzina di 16 anni rea solo di credere nella Patria. Quello che le è successo, al di là di qualsivoglia motivazione, è purtroppo dovuto alla brutalità e all’odio di una certa fazione di partigiani il cui unico vero obiettivo era la cancellazione fisica non solo del nemico, ma di chiunque potesse essere di disturbo ai loro piani rivoluzionari. Una massa di canaglie manovrate ad hoc dai capi social-comunisti, illusa col sogno della rivoluzione proletaria che non ci sarebbe mai stata, ma intanto per eliminare i nemici e gli alleati scomodi. E se in mezzo ci finivano persone innocenti o ragazzine come Marilena, che di colpe non ne avevano, poco importava, erano semplicemente “danni collaterali”. Storie da seppellire nell’oblio della memoria e da non ricordare. Accadimenti che è meglio non ricordare, giammai che a qualcuno venisse in mente di andare a scavare tra i rovi dei vincitori e riportasse alla luce verità che potrebbero incrinare il mito di certi “eroici” resistenti. E la riprova è il diniego che il Comune di Torino ha sempre contrapposto alla richiesta dell’Associazione Famiglie Caduti e Dispersi della RSI di apporre, a proprie spese, una lapide commemorativa nel luogo un cui Marilena fu uccisa.

 


(1) “Per Marilena Grill”, 2000 Ass. Naz. Fam. Caduti e Dispersi RSI, pg. 13

(2) “Per Marilena Grill”, 2000 Ass. Naz. Fam. Caduti e Dispersi RSI, pg. 9

(3) L’ausiliaria e il partigiano”, 2007 Spoon River, pg, 45

(4) L’ausiliaria e il partigiano”, 2007 Spoon River, pg, 46

(5) L’ausiliaria e il partigiano”, 2007 Spoon River, pg, 53

(6) Fratricidio”, 1998 Novantico Editrice


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