Il bambino che guardava le donne

IL BAMBINO CHE GUARDAVA LE DONNE

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Un paese dimenticato dell’alta vai Trebbia, sull’Appennino ligure. Una vecchia colonia per bambini circondata da cadaveri: i resti delle fucilazioni di prigionieri fascisti e tedeschi nelle ultime settimane di guerra civile. Un famoso avvocato d’affari che, ai giorni nostri, nell’autunno del 1998, comincia a narrare una storia densa di sorprese e di misteri… Dove ci conduce il nuovo romanzo di Giampaolo Pansa? Sulle prime sembra il racconto di un triangolo amoroso piuttosto speciale. Lui è Giuseppe, un bambino di undici anni, molto precoce e con una gran curiosità per le donne. Lei è una ragazza di ventidue anni, Carmen, che sul finire del 1947 arriva nel palazzo di Giuseppe segnata da un marchio infamante: è stata una repubblichina cattiva, ausiliaria nell’esercito di Salò; le donne del caseggiato giurano che ha commesso delle atrocità sui ribelli catturati. L’altro protagonista ha la stessa età di Carmen ed è un ragazzo ebreo, Attilio, che dopo aver fatto il partigiano è stato deportato ad Auschwitz ed è sopravvissuto. Il loro rapporto parte male per lo scontro fra due esistenze all’apparenza inconciliabili, quelle di Carmen e Attilio, destinate a combattersi anche con la ferocia dei ricordi. E però il bambino, testimone che non sa ma che vuole sapere, a far precipitare il roanzo nel baratro della follia di questo secolo: lo sterminio degli ebrei. Pansa racconta come non era mai stato fatto prima la distruzione di una comunità ebraica importante, quella di Casale Monferrato, la sua città. La tragedia è ricostruita attraverso le storie delle vittime: persone uguali a noi, semplici e dalla vita quieta, annientate dalla cattura e dalla deportazione. Il medico dei poveri, il sarto sordomuto, la vedova dell’antiquario, la pro­fessoressa di pedagogia, il preside che aveva fondato la squadra di calcio cittadina, la bambina sempre triste, la ragazza andata in sposa lontano dal ghetto, e tante altre figure scomparse nei forni di Auschwitz, ritornano dal passato grazie alla narrazione di Pansa. Le loro vite spezzate sono ricomposte con la pazienza del ricercatore di dettagli che si rimandano l’un l’altro, come nell’ordito di un tessuto. A tratti, l’incalzante succedersi di tanti delitti sembra insopportabile, eppure il lettore non riuscirà a staccarsi da queste pagine. Le soffrirà sino in fondo, e non può essere che così: prima di passare oltre, quegli ebrei devono finire tutti nelle camere a gas. E noi dobbiamo vederli morire, al contrario di quanto accadde nello sterminio, quando in troppi si voltarono dall’altra parte. Soltanto dopo, la storia di Carmen, di Attilio e di Giuseppe può riprendere il suo corso tormentoso, dominato da un tarlo maligno annidato nella memoria della ragazza. E portarci all’esito sorprendente di questo ricco e forte romanzo: a Parigi, tanti anni più tardi, con un incontro destinato a riannodare i fili di un anomalo triangolo d’amore.


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