Canzoni

Discorso alle Gerarchie delle Federazioni dei Fasci dell'Urbe (23 febbraio 1941)

Anno: 1941

Gruppo: DISCORSI: BENITO MUSSOLINI

Testo: Benito Mussolini

CAMICIE NERE DEL. L'URBE!

Sono venuto tra voi per guardarvi fermamente negli occhi, sentire la vostra temperatura, rompere il silenzio che pure mi è caro, specie in tempo di guerra.

VENT' ANNI DI LOTTA

Vi siete mai domandati, nell' ora di meditazione che ognuno di noi deve trovare nella sua giornata, da quanto tempo noi siamo in guerra? Non da solo 8 mesi come potrebbero credere i superficiali annotatori della cronaca, non dal settembre 1939, quando, attraverso il gioco delle garanzie alla Polonia, la Gran Bretagna scatenò la conflagrazione, con criminale premeditata volontà. Noi siamo in guerra da sei anni, e precisamente da quel febbraio del 1935 quando uscì il primo comunicato annunciatile la mobilitazione della « Peloritana ».
Era appena finita la guerra di Etiopia, quando giunse dall'altra riva del Mediterraneo l'appello di Fran¬co che aveva iniziato la sua rivoluzione nazionale. Potevamo noi - fascisti - lasciare senza risposta questo grido e restare indifferenti dinanzi al perpetuarsi delle sanguinose ignominie dei fronti cosiddetti popolari? Potevamo, senza rinnegare noi stessi, non ascoltare a dare il nostro aiuto ad un movimento di ri¬scossa che aveva trovato in Antonio De Rivera il creatore, l'asceta e il martire? No!
E così la prima squadriglia dei nostri velivoli partì il 27 luglio del 1936 e nella stessa giornata avemmo i primi ca¬duti. In realtà noi siamo in guerra dal 1922: cioè dal giorno in cui alzammo contro il mondo massonico democrati¬co capitalistico la bandiera della nostra rivoluzione che allora era difesa da un pugno di uomini.
Da quel giorno il mondo del liberalismo, della democrazia, della plutocrazia ci dichiarò e ci fece la guerra con campagne di stampa, diffusione di calunnie, sabotaggi finanziari, attentati e congiure, an¬che quando eravamo intenti a quel lavoro di ricostruzione interna che rimarrà nei secoli quale indistruttibile documentazione della nostra volontà creatrice. Lo scoppio delle ostilità nel settembre del 1939 ci trovò all'indomani di due guerre che avevano imposto sacrifici di vite umane relativamente modeste, ma ci avevano costretto ad uno sforzo logistico e finanziario semplicemente enorme.
In altra sede - per non tediarvi con troppe cifre - tutto ciò sarà documentato per quanto riguarda il nostro intervento nella Rivoluzione falangista. Ecco perché avremmo preferito, e fu pubblicamente dichiarato nel dicembre 1939, che se a una resa dei conti sì doveva venire tra i due mondi irriducibilmente antagonisti, questa fosse ritardata di quanto era necessario per reintegrare tutto ciò che era stato da noi consumato o ceduto.

TEMPESTIVITÀ DELL'INTERVENTO

Ma agli sviluppi, talora accelerati, della storia, non si può dire, come al faustiano attimo fuggente; fermati! La storia vi prende alla gola e vi costringe alla decisione. 'Non è la prima volta che ciò è acca-duto nella storia d'Italia! Se fossimo stati pronti al cento per cento saremmo scesi in campo nel settembre del 1939, non nel giugno del 1940. Durante questo breve lasso di tempo abbiamo affrontato e superato difficoltà eccezionali.
Le fulminee schiaccianti vittorie della Germania ad occidente eliminavano l'eventualità di una lunga guerra continentale. Da allora la guerra terrestre nel continente è finita, non può riaccendersi, ed è finita con la vittoria della Germania facilitata dalla non belligeranza dell'Italia che immobilizzò ingenti forze navali, aeree, terrestri del blocco franco-inglese.
Taluni che oggi affermano di pensare essere stato l'intervento dell'Italia prematuro, sono probabilmente gli stessi che allora lo ritenevano tardivo. In realtà il momento fu tempestivo poiché se è vero che un nemico era in via di liquidazione, restava l'altro, il maggiore, il più potente, il numero UNO, contro il quale abbiamo impegnato e condurremo la lotta « sino all'ultimo sangue ».
Liquidati definitivamente gli eserciti della Gran Bretagna sul continente europeo, la guerra non poteva assumere che un carattere navale, aereo e, per noi, anche coloniale. E' nell'ordine geografico e storico delle cose che all'Italia siano riservati i teatri di guerra più lontani e difficili: guerra d'oltremare e guerra nel deserto. I nostri fronti si allungano per migliaia di chilometri e sono distanti migliaia di chilometri. Taluni acidi e ignoranti commentatori stranieri dovrebbero tenerne conto. Co¬munque durante i primi quattro mesi di guerra fummo in grado di infliggere gravi colpi navali, aerei, terrestri alle forze dell'Impero britannico. Sino dal 1935 l'attenzione dèi nostri stati maggiori fu portata sulla Libia. Tutta l'opera dei governatori che si avvicendarono in Libia fu diretta a potenziare economicamente, demograficamente, militarmente quella vasta regione, trasformando zone predesertiche o dèsertiche in terre feconde. Miracoli! Questa è la parola che può riassumere quanto fu fatto laggiù.

IL POTENZIAMENTO MILITARE DELLA LIBIA

Con l'aggravarsi della tensione europea e dopo gli e-venti del 1935-36 la Libia, riconquistata dal fascismo, venne considerata uno dei punti più delicati del nostro generale dispositivo strategico, in quanto poteva es¬sere attaccata su due fronti. Lo sforzo compiuto per potenziare militarmente la Libia risulta da queste cifre:
Solo nel periodo che va dal 1. ottobre 1937 al 31 gennaio 1941 sono stati mandati in Libia 14.000 ufficiali e 396.358 soldati e costituite due armate: la V e la X. Questa contava dieci divisioni tra nazionali e libici. Nello stesso periodo di tempo sono stati mandati 1924 cannoni di tutti i calibri e molti di essi di costruzione e modello recente; 15.386 mitragliatrici, undici milioni di colpì dì artiglieria, un miliardo 344 milioni 287 mila 265 colpi per le armi portatili, 127 mila 877 tonnellate di materiale del genio; 24 mila tonnellate di vestiario e equipaggiamento; 779 carri armati con una certa aliquota di pesanti; 9584 automezzi vari; 4809 motomezzi. Queste cifre dimostrano che alla « preparazione » della difésa della Libia era stato dedicato uno sforzo che si può chiamare imponente.
Altrettanto può dirsi per quanto riguarda l'A. O. che abbiamo preparato a resistere malgrado le distanze e l'isola¬mento totale, che esalta la volontà e il coraggio dei no¬stri soldati. I soldati che si battono nell'Impero, senza speranza di aiuti, sono i più lontani, ma perciò i più vicini ai nostri cuori. Comandati da un soldato di razza quale il Viceré e da un gruppo di generali di alto valore i nostri soldati nazionali e indigeni daranno molto filo da torcere alle masse nemiche.
Fu tra l'ottobre e il novembre che la Gran Bretagna radunò e schierò contro di noi il complesso delle sue forze imperiali reclutate in tre continenti e armate dal quarto, concentrò in Egitto quindici divisioni e una massa consi¬derevole di mezzi corazzati e li scagliò contro il nostro schieramento in Marmarica, che aveva in prima linea le divisioni libiche - valorose e fedeli -ma non molto a sostenere l'urto delle macchine nemiche.
Ebbe così, il nove dicembre, inizio la battaglia, in anticipo su quella da noi preparata di cinque o dieci giorni e che dopo due mesi circa ha condotto il nemico a Bengasi.-

ODIARE IL NEMICO

Ora noi non siamo come gli inglesi. Ci vantiamo di non esserlo. Non abbiamo fatto della menzogna un'arte di governo e nemmeno un narcotico per il popolo come i governanti di Londra.
Noi diciamo pane al pane, vino al vino e quando il nemico vince una battaglia è inutile e ridicolo cercare, come fanno appunto nella loro incommensurabile ipocrisìa, gli inglesi, di negarla o minimizzarla.
Una intera armata, la X, è stata travolta quasi al completo con uomini e relativi cannoni. La V squadra aerea si è quasi letteralmente sacrificata. Dove possibile, si è resistito con accanimento e talvolta con furore. Poiché noi facciamo questo riconoscimento, è inutile che il nemico gonfi le cifre del suo bollettino. Gli è perché ci sentiamo sicuri circa il grado 91 maturità nazionale raggiunto dal popolo italiano e circa lo sviluppo futuro degli eventi, che noi continuiamo a praticare il culto della verità e a ripudiare ogni falsificazione.
Gli eventi vissuti in questi mesi esasperano la nostra volontà e devono accentuare contro il nemico quell'odio freddo, cosciente, implacabile, odio radicato in ogni cuore, diffuso in ogni casa, che è un elemento indispensabile per la vittoria.
L' ultimo appoggio della Gran Bretagna sul continente, era ed è la Grecia, l’unica nazione che non ha voluto rinunciare alla « garanzia » britannica. Era necessario affrontarla e su questo punto l'accordo di tutti i fattori militari responsabili fu assoluto. Aggiungo che anche il piano operativo, preparato dal comando superiore delle forze armate di Albania, fu unanimemente approvato, sènza riserve di sorta e non fu chiesto nell'intervallo tra la decisione e l'inizio dell'azione, che un ritardo di due giorni.
Sia detto una volta per tutte che i soldati italiani in Albania hanno superbamente combattuto; sia detto, in particolare, che gli alpini hanno scritto pagine di sangue e di gloria che onorerebbero qual-siasi esercito. Quando si potrà raccontare delle sue vicende la marcia della « Julia » sino quasi a Metzkovo, tutto apparirà leggendario.
I « neutrali » di ogni continente che fanno da spettatori al sanguinoso urto delle masse armate, devono avere il pudore di tacere e di non avventare giudizi temerari e diffamatori. I prigionieri italiani caduti nelle mani dei greci sono poche migliaia e in gran parte feriti. I successi ellenici non esorbitano dal campo tattico e solo la megalomane rettorica levantina li ha iperbolizzati. Le perdite greche sono altissime, mentre fra poco verrà primavera e come vuole la stagione, la nostra stagione, verrà il bello.
Vi dico che verrà il bello e verrà in ognuno dei quattro punti cardinali!
Non sono forti sono le perdite che abbiamo inflitto agli inglesi. Dire, come essi fanno, che le loro perdite nella battaglia dei 60 giorni in Cirenaica non superano i due mila tra morti e feriti è volere aggiungere una nota di grottesco al dramma; è voler superare se stessi in materia di sfrontata menzogna, il che parrebbe difficile per gli inglesi; essi devono aggiungere perlomeno uno zero alla cifra dei loro comunicati.

SICURO TRIONFO DELL'ASSE

Dall'11 novembre, da quando gli aerosiluranti inglesi partiti non da basi greche, ma da una nave portaerei, fecero il colpo che noi, del resto, abbiamo accusato a Taranto, le vicende della guerra ci sono state avverse. Bisogna riconoscerlo. Abbiamo avuto delle giornate grigie, la vicenda di tutte le guerre, in tutti i tempi. Pensate alle Pu-niche: Canne sembra schiantare Roma. Ma a Zama Roma distrugge Cartagìne, e la cancella dalla geografia e dalla storia per sempre.
La nostra capacità di recupero nel campo morale e materiale è semplicemente formidabile e costituisce una delle peculiari caratteristiche della nostra razza.
Specie in questa guerra, che ha per teatro il mondo e mette direttamente o indirettamente alle prese i continenti, sugli oceani, sulla terra, nei cieli, è la battaglia finale che conta. Che si dovrà combattere duramente è certo; che si dovrà combattere a lungo è anche molto probabile, ma il risultato finale è la vittoria dell'Asse. La Gran Bretagna non può vincere la guerra.
Ve lo dimostrerò con un rigore logico.
Qui l'atto di fede è suffragato dal fatto.
Questa dimostrazione parte da una premessa dogmatica e cioè che l'Italia, qualunque cosa accada marcerà con la Germania, fianco a fianco, fino alla fine.
Coloro che fossero tentati di supporre qualche cosa di diverso dimenticano che l'alleanza tra la Germania e l'Italia non è soltanto tra due Stati o due eserciti o due diplomazie, ma fra due popoli e due rivoluzioni, destinate a dare l'impronta al secolo.

LA SITUAZIONE ATTUALE

La cooperazione, offerta dal Fuhrer, che reparti aerei e corazzati germanici attuano nel Mediterraneo, non è che la riprova che tutti ì fronti sono comuni e che lo sforzo è co¬mune. I germanici sanno che l'Italia regge oggi sulle sue spalle il peso di un milione di soldati tra britannici e greci, di 1500 - 2000 velìvoli; di altrettanti carri armati; di migliaia di cannoni; dì almeno 500 mila tonnellate di naviglio militare.
La cooperazione tra le due forze armate si svolge su un piano di cameratesca, leale, spontanea solidarietà.
Sia detto per gli stranieri pronti sèmpre alla malvagia diffamazione, che il contegno del soldato germanico in Sicilia e in Libia è sotto ogni riguardo perfetto, degno dì un forte esercito e di un forte popolo educato ad una severa disciplina.
Seguitemi ora, vi prego:
1.) il potenziale bellico della Germania non solo non è diminuito dopo 17 mesi di guerra, ma è aumentato in proporzioni gigantesche. Dal punto di vista delle perdite umane esse sono state contenute in cifre minime tenuto conto delle masse entrate in azione. Le perdite dì mezzi, più che compensate dall'immenso bottino, sono state assolutamente insignificanti.
L'unità del comando politico militare nelle salde mani del Fuhrer, di colui, che fu un tempo il soldato semplice volontario Adolfo Hitler, imprime alle operazioni un ritmo entusiastico, irresistibile, rivoluzionario, cioè nazionalsocialista, che muove tutti dai sommi generali agli ultimi soldati. La Gran Bretagna se ne accorgerà ancora una volta fra poco.
2.) Gli armamenti germanici sono per qualità e quantità, infinitamente superiori a quelli dell'inizio della guerra. La Germania non ha ancora portato al limite l'impiego dei suoi effettivi umani.
Come, del resto, l'Italia. Noi abbiamo ora alle armi oltre due milioni di uomini, ma entro l'anno possiamo, se necessario, arrivare a quattro.
3.) Mentre nella guerra mondiale la Germania era isolata in Europa e nel mondo, oggi l'Asse è arbitro del continente ed è alleato col Giappone. Il mondo scandinavo (Finlandia, Svezia, Norvegia, Danimarca) è direttamente o indirettamente nell'orbita tedesca. Il mondo danubiano e balcanico non può ignorare e non ignora l'Asse. Ungheria e Romania hanno aderito al tripartito. La Francia occupata, il Belgio, l'Olanda, il Lussemburgo sono, come il mondo scandinavo e danubiano, nell'orbita della Germania. Nel Mediterraneo l'Italia è alleata, la Spagna amica. Resta la Russia, ma i suoi interessi fondamentali le consigliano di seguire anche per il futuro una politica di buon vicinato con la Germania. L'Europa quindi, fatta eccezione del Portogallo, della Svizzera,e per qualche tempo ancora della Grecia, è tutta al di fuori della Gran Bretagna e contro la Gran Bretagna.
4.) Con questa situazione si è determinato un capovolgimento nettissimo di quanto accadde nel 1914-18. Allora il blocco era un'arma terribile nelle mani della Gran Bretagna, oggi è un'arma spuntata poiché da bloccante la Gran Bretagna è diventata bloccata dalle forze aeree e navali dell'Asse e sarà sempre più bloccata sino alla catastrofe.
5.) Il morale dei popoli dell'Asse è infinitamente superiore al morale del popolo inglese. L'Asse lotta nella certezza della vittoria, la Gran Bretagna lotta perché, come ha detto Halifax, non ha altra scelta. E' supremamente ridicolo speculare su un eventuale cedimento morale del popolo italiano. Questo non accadrà mai. Parlare di paci separate è da deficienti. Churchill non ha la minima idea delle forze spirituali del popolo italiano e di quello che può il fascismo. Che Churchill ordini di bombardare gli im-pianti industriali di Genova per interromperne le lavora¬zioni, si comprende, ma bombardare la città per fiaccarne il morale è una puerile illusione. Significa non conoscere neppure vagamente la razza, il temperamento, il costume dej liguri in genere e dei genovesi in particolare: significa ignorare la virtù civica il ferissimo patriottismo di un popolo che, nell'arco del suo mare, ha dato alla patria Colombo, Garibaldi, Mazzini.

L'INGHILTERRA È PERDUTA

6.) La Gran Bretagna è sola. Questo isolamento la spinge verso gli Stati Uniti dai quali invoca disperatamente e urgentemente soccorso.
Il potenziale industriale degli Stati Uniti è certamente grandioso, ma perché l'aiuto giovi, i rifornimenti devono: a) giungere tranquillamente in Inghilterra; b) essere di tale mole non solo da compensare le distruzioni avvenute e quelle che avverranno degli impianti industriali della Gran Bretagna, ma da determinare una superiorità sulla Germania, il che è impossibile, perché con la Germania lavora ormai in uomini, macchine, materie prime, l'intero continente europèo.
7.) Quando la Gran Bretagna cadrà allora la guerra sarà finita, anche se per av¬ventura continuasse ad ago¬nizzare nei paesi dell'impero britannico. A meno che - ed è probabile -tali paesi dove già qualche cosa fermenta, non realizzino, vinta la metropoli, la loro indipendenza. Il che porterebbe, non solo ad un cambiamento della carta politica dell'Europa, ma in quella del mondo.
8.) L'Italia ha in questa gigantésca vicenda una parte di primo piano. Anche il nostro potenziale bellico migliora quotidianamente in qualità e quantità. Due delle tre grandi navi ferite a Taranto sono già in via di prossima completa guarigione.
Tecnici ed operai hanno lavorato giorno e notte fornendo una convincente dimostrazione non solo della loro capacità professionale, ma del loro patriottismo. A guerra
finita nel rivolgimento sociale mondiale che ne conseguirà con una più giusta distribuzione delle ricchezze della terra, dovrà essere tenuto e sarà tenuto conto dei sacrifici sostenuti e della disciplina mantenuta dalle masse lavoratrici italiane: la rivoluzione fascista farà un altro passo decisivo in tema di raccorciamento delle distanze sociali.
9.) Che l'Italia fascista abbia osato misurarsi con la Gran Bretagna è un titolo di orgoglio che varrà nei secoli. E' stato un atto di consapevole audacia.
I popoli diventano grandi osando, rischiando, soffrendo, non mettendosi ai margini della strada in una attesa parassitaria e vile. I protagonisti della storia possono rivendicare dèi diritti, i semplici spettatori mai.
10.) Per vincere l'Asse, gli eserciti della Gran Bretagna dovrebbero sbarcare nel continente, invadere Germania e Italia, sconfiggerne gli eserciti e questo nessun inglese per quanto squilibrato e delirante dall'uso e dall'abuso degli stupefacenti e degli alcoo-lici, può nemmeno sognarlo.

COLOSSALE MISTIFICAZIONE AMERICANA

Lasciatemi dire ora, che quante accade negli Stati Uniti, è una delle più colossali mistificazioni che la storia ricordi. Una illusione e una menzogna stanno alle basi dell'interventismo americano: l'illusione che gli Stati Uniti siano ancora una democrazia, mentre sono di fatto una oligarchia politico-finanziaria dominata dall'ebraismo attraverso una forma personale di dittatura; la menzogna che le potenze dell'Asse vogliano attaccare dopo la Gran Bretagna, l'America.
Né a Roma, né a Berlino si covano fantastici progetti del genere. Tali progetti non potrebbero partire che da una inclinazione manicomiale. Totalitari, certo lo siamo e lo saremo, ma coi piedi sulla dura terra. Gli americani che mi leggeranno stiano tranquilli e non credano per quanto li riguarda, alla esistenza del « grosso cattivo lupo » che li vuoi divorare.
In ogni caso è più verosimile che gli Stati Uniti siano invasi prima che dai soldati dell'Asse, dagli abitanti non molto conosciuti, ma pare assai bellicosi, del pianeta Marte, che scenderanno dagli spazi siderali su inimmaginabili « fortezze volanti ».

CAMERATI DI ROMA!
Attraverso voi ho voluto parlare al popolo italiano all'autentico vero grande popolo italiano, quello che combatte leoninamente sui fronti di terra, di mare, di cielo, quello che di buon mattino è in piedi per andare a lavorare nei campi, nelle officine, negli uffici, quello che non si permette lussi, nemméno innocenti.
Non bisogna assolutamente confonderlo o contaminarlo con una esigua trascurabile minoranza di ben identificati poltroni, piagnoni e asociali che gemono sui razionamenti o rimpiangono le sospese « comodità », o con qualche rettile, rottame di loggia, che noi schiacceremo senza difficoltà quando e come vorremo.

GRIDO DI VITTORIA

II popolo italiano, il popolo fascista, merita ed avrà la vittoria. Le privazioni, le sofferenze i sacrifici che dalla quasi unanimità degli italiani e delle italiane vengono affrontati con coraggio e con dignità che può dirsi veramente esemplare, avranno il loro compenso, il giorno in cui, stroncata sui campi di battaglia, dall'eroismo dei nostri soldati, ogni forza nemica, il triplice immenso grido attraverserà fulmineo le montagne e gli oceani ed accenderà di nuove speranze e consolerà di nuove certezze l'anima delle moltitudini: Vittoria; Italia; pace con giustizia tra i popoli.