Canzoni

DIO E POPOLO

Anno: 1846

Gruppo:

Testo: Goffredo Mameli
Musica: (Anonimo)

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Come narran sugli Apostoli,
Forse in fiamma sulla testa
Dio discese dell'Italia...
Forse è ciò; ma anch'è una festa.
Nelle feste che fa il Popolo
Egli accende monti e piani ;
Come bocche di vulcani.
Egli accende le città.

Poi, se il Popolo si desta,
Dio combatte alla sua testa.
La sua folgore gli dà.

Uno scherzo ora fa il popolo ;
A una festa ei si convita.
Ma se è il popolo che è l'ospite,
Guai a lui ch'ei non invita!
Grande è sempre quel ch'egli opera
Or saluta una memoria,
Ma prepara una vittoria ;
E vi dico in verità

Che se il Popolo si desta
Dio combatte alla sua testa,
La sua folgore gli dà.

Noi credete ? Ecco la storia :
All'incirca son cent'anni
Che scendevano su Genova,
L'armi in spalla, gli Alemanni ;
Quei che contano gli eserciti
Disser : l'Austria è troppo forte;
E gli aprirono le porte.
Questa vil genia non sa

Che se il Popolo si desta
Dio combatte alla sua testa,
La sua folgore gli dà.

Un fanciullo gettò un ciottolo ;
Parve un ciottolo incantato,
Che le case vomitarono
Sassi e fiamme da ogni lato.
Perché quando sorge il Popolo
Sovra i ceppi e i re distrutti.
Come il vento sovra i flutti
Passeggiare Iddio lo fa.

Quando il Popolo si desta
Dio combatte alla sua testa.
La sua folgore gli dà.

Quei che contano gli eserciti
Vi son oggi come allora :
Se crediamo alle lor ciance
Aprirem le porte ancora.

Confidiamo in Dio. nel Popolo .
I satelliti dei forti
Non si contano che morti.
E vi dico in verità

Che se il Popolo si desta
Dio combatte alla sua testa
La sua folgore gli dà.

Note

Con questo canto Goffredo Mameli, diciottenne, si annunziava nuovo poeta della patria. « La sera del 10 dicembre 1846 tutta Genova era fiamme di gioia; ma non la città sola, tutti gli Apennini, il dosso d'Italia, come Dante li chiama, risplendevano di fuochi; parea che gli antichi vulcani si fossero risvegliati; era l'avviso, era la minaccia d'Italia agli stranieri e ai tiranni. Il giovinetto Mameli guardava, guardava col petto anelante quella città accesa, quei monti accesi; e intese che cosa tutto ciò significasse : dal passato indovinò l'avvenire, il prossimo
avvenire ; nella commemorazione della battaglia popolare di Prè, e di Portoria, presentì le cinque giornate di Milano; e in imo di quei momenti che Platone avrebbe chiamato di « furore poetico » gittò ai venti d'Italia il canto Dio e Popolo, il canto precursore del quarantotto e del quarantanove ». Così Giosuè Carducci.
Disse, anche, A. G. Barrili di quest'inno: «Fu scritto per il 19 dicembre 1846, giorno della grande passeggiata votiva di tutto il popolo genovese al santuario di Oregina, celebrandosi il primo centenario della cacciata degli Austriaci da Genova ; e fu recitato dall'Autore il 9 dicembre, nel banchetto d'onore offerto dagli studenti genovesi all’Albergo de la Ville, a Terenzio Mamiani : il quale nel suo discorso a quei giovani, lodò grandemente il poeta. Parlò in quella occasione per tutti i compagni Gerolamo Boccardo, il principe degli economisti italiani. Quanto all'inno Dio e Popolo, l'edizione del 1850, nel secondo verso del ritornello, reca il soldatesco « Dio si mette alla sua testa » forse sulla fede di qualche copia errata dell'inno. Nei manoscritti di Goffredo chiaramente e ripetutamente si legge « Dio combatte » che ha sapore biblico, in tutto conforme agli studi che sulla Bibbia andava facendo il Poeta. Anche la edizione Tortonese ha la più giusta lezione « Dio combatte » e dobbiamo lodarla di ciò ».

(da “Inni di Guerra e Canti Patriottici del popolo italiano” Ed. Risorgimento, Milano,1915)