Rassegna Stampa

Odio e sopraffazione nella musica dei fasci?

Testata: IL FONDO

Data:7 settembre 2009
Autore: Francesco Mancinelli
Tipologia: Generico

Locazione in archivio

Stato:Solo testo
Locazione: ASMA-Archivio digitale RS,Web/Il Fondo,Il Fondo 2009-09-07

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Sto seguendo con molto interesse ed attenzione il dibattito scaturito dall’articolo su l’Altro di Pino Casamassima: “Mai memoria condivisa con i fascisti “, dibattito generato da un suo articolo sulla liberazione di Gianni Guido, uno dei tre responsabili della strage del Circeo, tornato questi giorni in libertà.

Ovviamente, non entro nell’infinità dei luoghi comuni che a mio avviso sono presenti nell’articolo, e a cui ha risposto Andrea Colombo, praticando direi, “una visione gramsciana e pasoliniana di analisi critica del fascismo e dei fascisti” , e da cui risulta l’inadeguatezza di fare sempre di tutta l’erba un “Fascio”.

Mi vorrei invece soffermare brevemente su un passaggio proposto nell’articolo, a proposito dell’iconografia della morte e del culto della sopraffazione presenti nelle cultura, nella grafica e senti senti perfino nella musica , che avrebbero nel dna tutti i fascisti, tutti i neo-fascisti, la destra radicale ecc. ecc.

Come dire, vengo toccato su un nervo scoperto, perché io, sono dentro il filone metapolitico della cosidetta musica alternativa già dal 1979 , e dovrei essere uno di quelli che ha praticato ed esercitato per trent’anni la musica come strumento di evocazione, di offesa e di sopraffazione sull’altro, sul debole, sull’indifeso, sulla donna, sull’ebreo , sul gay, sulla vittima di turno, … godendo di ciò.

Ed avendo anche una buona conoscenza di tutto quanto è stato prodotto negli ultimi trent’anni in termini musicali nell’ ambiente cosiddetto “fascista”, ed oltretutto, conoscendo i gusti e la cultura musicale di molti miei coetanei “cinici perversi e stupratori”, sono rimasto perplesso dalla gratuità di una tale affermazione.

Intanto, se ci si domanda da dove viene questo culto “dell’esaltazione della morte” , del lucubre, dell’esaltazione della battaglia e della guerra, del bel gesto estremo ed inutile, sarebbe interessante indagare tutto ciò che è stato prodotto dalla cultura letteraria italiana sul tema in questione e quanto pesa in tutto questo perfino il retaggio classico derivato dalla “tragedia” (… sin dalla sua nascita) , presente nel dna meta-storico e mito-poietico di tutta Europa. E senza scomodare peraltro Y. Mishima, Pound, D’Annunzio, Drieu La Rochelle e Cèline. Si scoprirebbe ad esempio, che la canzone un po’ retorica e patriottarda , mortifera, vagamente decadente e nichilista del ventennio, è eredità direttamente dal tema letterario e dalle note di pentagramma generate dalla giovane e sfortunata “rivoluzione risorgimentale” (compreso il nostro inno nazionale scritto da un cultore della morte , un giovane sovversivo crepato a soli 19 anni); genere musicale poi ripreso e rigenerato dalla trincee della prima guerra mondiale, ed in cui l’Avanguardismo, il Sansepolcrismo , il Sindacalismo Rivoluzionario lugubre di Fiume, il Futurismo violento e sessista (ma anche quello dei sinistrissimi ed anti-fascisti Arditi del Popolo) hanno tratto quasi tutto il repertorio musicale.

Per non parlare poi della storia musicale della RSI e della stessa Resistenza, in cui un qualsiasi critico musicale di media preparazione, avrebbe difficoltà a capire la differenza tra i testi dei Partigiani e quelli delle Brigate Nere, non solo per genere di musicalità condivisa ( marcette e/o ballate che siano) ma perfino per l’immaginario comune di miti e valori esaltati da testi ( patria, fede, orgoglio, bandiera, giustizia, libertà ecc. ecc).

Non racconto poi niente di nuovo se affermo che per tutti gli anni 50- 60 , i generi musicali (non impegnati e non politici) , le balere, i luoghi di aggregazione, le feste, la musica rock, il Piper di Roma hanno fatto da laboratorio comune di crescita a destra come a sinistra; e non tradisco nessuno se affermo che certe mode di valenza “pre-politica ed antropologica” legate a derive musicali estreme (sfociate poi nell’Hard, nel Punk, nel metal-neopagano nell’Underground, nell’Oi), le abbiamo tutti quanti ereditate (e dico tutti quanti, fascisti e comunisti che siano ) da quella magnifica epopea tutta inglese degli Who, dei violenti scontri tra Mods ed Rokers proposti dal film Quadrofenia .

Ma i paradossi continuano; e così si scopre che già prima del 68, il cabaret Bagaglino di Roma, luogo di chiara matrice perverso-fascista, ospitava i primi cantautori anti-conformisti, ed è lì che venne composta la più bella canzone sulla figura e sull’esaltazione della morte eroica di Ernesto Che Guevara (un testo di Gribanosky-Pingitore) (1).

Era il tempo in cui, come descrive il cantautore alternativo Fabrizio Marzi, sul magnifico testo ” il nostro 68 ” (2), maledetti (i fascisti ) amavano De André, quel cantautore anarchico a cui ad esempio un nicciano-evoliano perso come me, deve quasi tutto, in termini di formazione musicale e amore senza limiti per il folk : dalla ballata tradizionale ed “identaria” fino l’estasi della musicalità zingara di Bregovich.

Inutile ricordare che gli anni 70, nella loro splendida tragicità, sono stati il punto di incontro di una cultura musicale universalmente condivisa, per generi e luoghi di aggregazione e riti liberatori, e che molta della formazione musicale di tutti noi “alieni-fascisti-stupratori” deriva dall’ascolto dei Genesis, di J. Morrison, dei Pink Floyd, degli Emerson Lake Palmer, dei Tangerim Dream , degli Eagles, fino ad arrivare all’italianissima PFM al Perigeo, al Banco. Per non parlare poi di Guccini, di Lolli , di De Gregori, di Bennato di Finardi , Vecchioni e Branduardi: possiamo chiederlo ad una intera generazione se la condivisione dei concerti e dei loro testimonial era un ritualità comune o meno. E questo bypassando la questione dell’ egemonia culturale e di etichetta (…di imbecillità congenita?) di chi sostiene malamente che Mogol-Battisti, Baglioni e Battiato sono di destra, mentre De Gregori, Guccini e Finardi sono di sinistra. Può darsi, ma sono tutti culturalmente e universalmente condivisi, compreso (l’ultimamente) conteso Rino Gaetano.

D’altra parte è stata proprio la sinistra intelligente ed attenta, che a metà degli anni 70 scopre e fa conoscere al mondo esterno il “Cattiverio”, la musica alternativa, i Campi Hobbit , La Voce della Fogna, e chi tra noi fascio-perversi non conserva il testo del famoso Lambro- Hobbit (3), e gli articoli del Manifesto, e dell’Espresso, sulla cosi-detta “mutazione della razza fascista” ?

Ma perché, invece di sproloquiare, non si indaga attentamente e criticamente su tutta la discografia prodotta da Massimo Morsello, dalla Compagnia dell’Anello, dai 270 bis valutando oggettivamente cosa c’è dentro? Possiamo trovarci dentro di tutto: la malattia tardo romantica degli eterni Peter Pan, un profilo troppo decadente ed esistenzialista, il culto ingombrante dell’eroe sempre morto e perdente, mitopoiesi ed esaltazione di valori elitari e poco adiacenti con il reale e con i problemi dell’economia, maschile ed adolescenziale cazzeggio, retorica piccolo-guerriera: sì, di tutto, ma questo tema della sopraffazione sistematica dell’altro e del debole, della donna, del gay è una vera e propia balla.

Perfino una bellissima ballata come “Lucrino Song”, che racconta un poco amichevole scambio di sprangate tra militanti di Terza Posizione ed altri coetanei, la mette più su un lato ironico-comico che sul tema dell’odio e la sopraffazione dell’altro (4) . La musica alternativa tranne “rarissimi e sfigatissimi casi”, non ha nessuna valenza di odio e di sopraffazione anzi, al contrario, pesa come un macigno il repertorio anticomunista (peraltro assolutamente marginale), presente per es. in alcuni brani degli Zetapiemme e degli Amici del Vento, brani che sono tacciabili al contrario di insano e pernicioso vittimismo.

Ma perfino nelle dimensione Underground o Hard, che in Italia nasce tra i giovani neo-fascisti con il Progressive degli Janus e il Rock melodico degli Intolleranza, non esiste nessuna esaltazione dell’odio gratuito e della sopraffazione verso l’altro, verso la donna, il diverso, il gay , l’avversario politico. C’è esaltazione della specificità, del radicamento territoriale ed ideologico , del patheon di riferimento, della forte identità politica e culturale: questo si. Ma odio gratuito e perverso verso l’altro mai.

Oppure l’obiettivo dell’articolo era mettere sotto la lente di ingrandimento per esempio la musica degli ZetaZeroAlfa e/o “La cinghia mattanza”, e le ritualità pre-politiche generate nei giovanili concerti, come il pokare e prendersi a spallate e spintoni, pratica che serve per scaricare la sessista aggressività dei ventenni fascisti metropolitani ? Anche qui lo scenario, per quanto ne dica Casamassima, è ampiamente condiviso con i coetanei della sinistra radicale, e con le mode tribali e pre-politiche, ( sicuramente meno pericolose dei raduni orgiastici Rave), èd è peraltro un modo tutto maschile, per sfogare l’istinto e l’aggressività in modo “entropico” , sano , mediato dal Rito Comunitario , dalle regole, riti molto simili a certe ritualità di lotta tribale, studiate a fondo dell’antropologia culturale di mezzo mondo. Sulla tipologia ed il genere musicale, “De Gustibus”, ma non si usino termini impropri come odio ed esaltazione della sopraffazione, per giudicare (5).

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1) ADDIO CHE
di Pingitore/Gribanovski
canta Gabriella Ferri

Addio Che
la gente
come te
non muore
nel suo letto
non crepa di vecchiaia.
Addio Che
sei morto nella valle
e non vedrai morire
la tua rivoluzione.
Addio Che
la gente
come te
t’aspetta col fucile
sull’alto della Sierra
Addio Che
all’erta sulla grotta
non c’é più
sentinella
non salgono
i compagni.
E’ l’ora Che
nessuno più verrà
non eri come loro
dovrai morire solo.
Addio Che
come volevi tu
sei morto un giorno solo
e non poco per volta.
Addio Che
la gente
come te
è nata per morire,
serve di più da morta.
Addio Che
aspettaci laggiù
verremo di nascosto
le notti senza luna.
Addio Che
a piangere per te
verremo di nascosto
le notti senza luna.
Addio Che

2) Il nostro ’68
Fabrizio Marzi

Per noi il ’68 era venuto
qualche anno avanti la contestazione
l’età della rivolta e del rifiuto
contro il sistema : la rivoluzione.

Allora noi eravamo bestie rare
quando vestire l’eskimo non era
una moda da vendere ai compagni
e cercavamo un basco per bandiera,
e cercavamo un basco per bandiera.
Ricordo i nostri fuochi a capodanno
quando i borghesi vestono di nero
e i proletari stappano moscato
ma freddo e notte cantavamo noi.
Emarginati e matti contro il mondo
che pullulava voglie e fregature
per giuramento crescere diversi,
tanta sete di rischio e d’avventure.
Ricordo la cantina dell’inferno
un luogo riservato ai bevitori
quando Guccini non cantava treni
e i maledetti amavano De Andrè
e i maledetti amavano De Andrè.
Poi la questura il 25 Aprile
per quattro scritti e una camicia strana
i vecchi partigiani e le paure
quelle sfide da rissa paesana.
Curcio aveva lasciato la parrocchia
leggeva il suo “Marcuse” nel Trentino
capelli troppo corti sulla testa
sputacchiavamo in faccia ai nostri beat.
Ma Kerouac era nostro si diceva
e quelli sono rossi e ben pasciuti
se la cultura era stile giusto
partivano fottuti quei lacchè,
partivano fottuti quei lacchè.
Le ragazze ridevano e la gente
odiava quei ragazzi tristi e matti
tra i libri gialli delle bancarelle
noi cercavamo Evola e Celine.
Il partito era fermo agli altarini
come l’Italia al Brennero col botto
le seggiolate contro Michelini
mentre s’avvicinava il ’68.
Ma il ’68 eravamo noi
contro i consumi per l’ecologia
contro lo sconcio delle vacche sacre
e un altro uomo e un’altra strategia.
e un altro uomo e un’altra strategia.
Un giorno ti telefona il gran capo
c’è l’università da ripulire
tu non prevedi, tu non puoi capire
che i sovversivi sono camerati.
Chissà che sghignazzate al Viminale,
chissà che sghignazzate i frammassoni
quando all’Università della Sapienza
qualcuno ha sollevato quei bastoni.
Era un casino : beh sono d’accordo
era un po’ duro prendere quel treno
tra un mucchio di pidocchi e di illusioni
giocare un ruolo “noi figli del sole”
giocare un ruolo “noi figli del sole”.
Che intanto si è rimasti nella merda,
che s’è pagato duro lo sapete
ma ora che si vende il ’68
sento puzzo di morte e non mi va.
Il capo è ancor più vecchio e parla bene,
la gente rossa o nera è sempre cupa
faranno un grande Gulag tutti assieme
uniti, non si toccano i tabù.
Noi che cantiamo giovinezza a chili
l’abbiamo sempre vista liquidata
cerchiamo pezzi di rivolta usata
e l’immaginazione che non c’è,
e l’immaginazione che non c’è.
Noi siamo ancor più vecchi e sempre matti
vogliamo fare a pezzi gli steccati:
ragazzi, non mollate proprio adesso
che c’è una vita tutta da inventare.
Ragazzi, non mollate proprio adesso
ragazzi, non lasciatevi incastrare
ragazzi, non lasciatevi incastrare
ragazzi, non lasciatevi incastrare.

3) Giuseppe Bressanone, La cultura giovanile di destra in Italia e in Europa, Milano, 1979

4) Lucrino Song

Il braccio che si stende calando giù la sbarra,
lo schianto delle ossa, lo stridere dei denti,
lo sguardo inorridito di mille benpensanti:
ci vuole così poco per essere contenti.
La notte scende ancora sulle ascelle profumate
delle vecchie bagasce con le mani inanellate,
il sangue cola ancora dalla bocca dei perdenti:
ci vuole così poco per essere contenti.
Te ne ritorni a casa con le orecchie frastornate,
il tuo cervello corre tra cavalieri e fate,
di questa tua battaglia di certo non ti penti:
è un modo come un altro per essere contenti.

5) Per un serio studio su tutta la musica alternativa : www.lorien.it/ Archivio storico della musica alternativa – Cristina De Giorgi , Note Alternative, Ed. Trecento, Roma 2008


Gruppi citati

Cabaret e satira - MASSIMO MORSELLO - ZETAZEROALFA - COMPAGNIA DELL'ANELLO - 270 BIS - FABRIZIO MARZI - AMICI DEL VENTO - ZPM - JANUS - INTOLLERANZA

Canzoni citate:

ADDIO CHE
IL BRACCIO CHE (LUCRINO SONG)
IL '68


Bibliografia:

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