Rassegna Stampa

Cabaret la storia mai scritta - Il padiglione dei supplizi

Testata: SECOLO D'ITALIA

Data:5 settembre 1995
Autore: Leo Valeriano
Tipologia: Specifico

Locazione in archivio

Stato:Originale
Locazione: ASMA,RS2-0008 (RS6-0001),29 (13)

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E giunse il fatidico ‘68- Scoppiò il Maggio francese . In Cecoslovacchia Dubcek, che aveva sostituito Novotny, aveva dato inizio al nuovo corso, ma nello stesso anno la sua rivolta ideale sarebbe stata soffocata nel sangue dalle truppe del Patto di Varsavia. Capanna alla testa del Movimento Studentesco aveva scoperto la sua vocazione di tribuno. Quello fu il momento in cui, ovunque cominciarono a fiorire i miniteatrini. Perfino il PCI ne aprì uno che si chiamava L’Armadio e che faceva una violenta satira basata sugli insulti diretti. Il pubblico che frequentava il Giardino dei Supplizi era in massima parte lo stesso che sarebbe poi andato al Bagaglino o al Puff, un altro locale aperto dal cantante Lando Fiorini e che si limitava a fare satira di costume. A Milano già da qualche tempo furoreggiava il Derby ma in quella città, forse troppo distante dalle problematiche legate al potere, il cabaret politico non era molto apprezzato., Ricordo che tutta la nostra compagnia ci si trasferì per una intera settimana e che il risultato che ottenemmo non fu certo paragonabile a quello che avevamo nel nostro teatrino di Piazza Rondanini. Si andava in scena per sei sere alla settimana mentre di giorno provavamo i nuovi testi e le nuove musiche create da Carlo Lanzi, e si riposava il lunedì. Per non eprdere neppure quel giorno, Luciano aprì sempre sulla Piazza Rondanini, una libreria che chiamò Il Padiglione del Giardino dove si inaugurarono i Lunedì dei Supplizi. Erano supplizi graditissimi. Serate durante le quali si cantavano le vecchie e le nuove canzoni del nostro cabaret, si proponevano i monologhi che lo avevano reso famoso si viveva il gusto dello stare insieme.
Ecco perché una delle canzoni che composi in quel periodo si chiamò la mia gente (testo)
Il debutto di Gianni Preda come autrice teatrale fu salutato da una campagna di stampa degna di un avvenimento mondano e furono migliaia le prenotazioni da parte di quelli che volevano vedere e salutare la giornalista che aveva fatto cadere due governi senza muoversi dalla sua redazione. Nel marzo del 1968 debuttammo con Alla faccia loro, a cui seguì Viva il Ducke con un gioco di parole che si riferiva sia a Rudy il rosso che portava un cognome simile sia al defenestrato Dubcek e sia a quel Duce sotto il cui comando Gianna Preda era stata ausiliaria della Rsi. Il successo fu talmente grande che ci arrivarono inviti da tutte le parti. Persino dal Canada. Fu così che il 9 maggio di quell’anno Oreste Lionello, Nino Benvenuti, Maurizio Arena, Jula de Palma e il sottoscritto ci trovammo insieme, seduti su un aereo della Air Canada alla volta di Toronto dove ci saremmo esibiti al Mapple Life Garden una copia del palazzo dello sport romano. Credo che quell’anno abbia rappresentato il vertice della popolarità del cabaret di destra. Intanto a Roma, il vecchio Setteperotto di Costanza era passato a Gastone Pescucci che ne aveva fatto un teatrino con un gusto più rivistaiolo e più adatto a un pubblico meno impegnato. Durante l’estate noi del Giardino non facemmo che spostarci per tutta l’Italia a volte dividendoci e altre riunendoci in due o in tre. Ricordo che feci diverse serate con Pat Starke e che poi con Funari e la Valloni, facemmo un buon periodo prima a Fiuggi e poi a Ponza. Purtroppo questi due colleghi non furono confermati per la stagione successiva e Funari con l’aiuto di Tonino Scaroni, prese il Setteperotto che nel frattempo era stato lasciato da Pescucci. Noi iniziammo la stagione con uno spettacolo firmato da Cirri e Jacopetti. Si chiamava Occidente Good-Bye. Oreste Lionello era stato nominato dal pubblico e dai critici principe del cabaret e bisogna dire che egli, con la sua classe recitativa, erse quel periodo irripetibile. C’è una sua frase che mi torna spesso in mente: Ricordati che un vero attore di cabaret non ha bisogno di null’altro oltre al suo viso. Con una maschera o una truccatura sono capaci tutti a far ridere! Ma noi no! Noi siamo clown.
Ma i tempi cambiano e in quel periodo noi non recitavamo per la televisione. Oreste invece sì. Ci andava per prestare la voce a un pupazzo manovrato da Raffele Pisu e che si chiamava Provolino. Ogni settimana faceva un assurdo viaggio fino a Milano per andare a registrare la puntata della trasmissione e poi tornava sempre ansante, ma in tempo per lo spettacolo. Accadde così che una volta, essendosi interrotta la registrazione per un problema tecnico, lui si prestò ad intrattenere il pubblico. Fece uno dei monologhi del Giardino dei Supplizi. Il gradimento del pubblico presente fu tale che Lionello da allora, seguitò a regalare la sua intelligenza a milioni di telespettatori. Fu così che giunse l’inverno che celebrammo al Padiglione con Buon Natale Europa. In quel periodo avevo cominciato a sentire un maggior rispetto per le persone oneste, anche per quelle che pensavano diversamente da me. Chiunque avesse combattuto per un’idea, credendoci, diventò, per me, degno di rispetto. Francobaldo Chiocci mi regalò un libro che lui stesso aveva scritto: Gli ultimi samurai. Mi ispirò un’altra di quelle canzoni controcorrente in cui mi stavo specializzando. Anche in questo caso voleva essere nulla di più che una fotografia di un momento storico, visto attraverso la lente della poesia musicale.
"Giovani di vent’anni vestiti di bianco, due perle vive in fronte colore della notte, sopra un bimotore che stende ali bianche, vanno incontro alla morte nel cielo di Giappone. Sta scritto tra le stelle che è valoroso il pino che non cambiò colore col peso della neve. Quando l’hai lasciata tua madre non ha pianto, ma quando sarà sola piangerà in silenzio l’ultimo suo figlio. Con la tua morte scrivi una condanna eterna, che il tuo nemico bruci nelle terre d’Oriente, l’ultimo suo figlio. Cento aerei bianchi si alzano nel cielo verso il paradiso degli eterni eroi, sembra un ramo di pesco sospeso sul Giappone:"
La curiosità maggiore di quel periodo riguarda il doppio premio della Maschera d’Argento. Subito dopo ogni spettacolo Anna Mazzamauro si recava alla redazione del Tempo dove si trovava anche l’ufficio di Renato Angiolillo. Questi faceva parte della giuria che annualmente distribuiva la Maschera d’Argento un riconoscimento per i vari settori della spettacolo. Dopo un po’ si venne a sapere che per quell’anno ci sarebbe stato un premio anche per il cabaret e che sarebbe andato alla Mazzamauro. Gianna Preda, appassionata ammiratrice di Oreste Lionello, appena saputa la notizia andò su tutte le furie e cominciò ad urlare “Se un premio per il cabaret deve essere dato, questo deve andare al principe del cabaret e non all’ultima arrivata” Ci fu quasi uno scontro tra i due giornali ma poi tutto si placò quando a qualcuno venne in mente che visto che era la prima volta che si dava una Maschera d’Argento per il cabaret, se ne potevano assegnare anche due.. ex aequo. Il mondo non se ne preoccupò e seguitò a girare sempre per il suo verso. Era la fine del 1968.. e di parte della nostra civiltà


Gruppi citati

LEO VALERIANO - Cabaret e satira