Rassegna Stampa

Ricordo di Carlo Venturino Amico del Vento e della vita

Testata: SECOLO D'ITALIA

Data:29 dicembre 1993
Autore: Guido Giraudo
Tipologia: Specifico

Locazione in archivio

Stato:Smontato originale
Locazione: ASMA,RS2-0006,38

Torna alla Rassegna Stampa
Dieci anni fa in un tragico incidente stradale perdeva la vita il giovane leader e fondatore del gruppo degli Amici del Vento, il più popolare complesso di musica alternativa degli anni Settanta. Medico per missione e poeta cantautore.

E’ difficile parlare di un amico. Ci si chiede se il ricordo sia troppo dilatato dal rimpianto, se la sua immagine sia deformata dalle lacrime, Dire chi è stato, spiegare cosa fece, capire perché in tanti lo hanno rimpianto perché sulla sua strada siano ancora cresciuti i fiori. La vita di un uomo è un lampo. Ma come ci sono i brevi fulmini nel cielo, neppure capaci di produrre un tuono, così ci sono le violenti folgori che accecano, agitano l’aria, la riempiono d’ozono, scuotono la terra fino alle viscere appiccano incendi. E come folgore la vita di Carlo Venturino: breve accecante, potente, ricca, purificatrice, infiammata, brillante.. eccezionale. E come la folgore si schianta al suolo lasciando solo un immenso silenzio dopo la sua dirompente venuta, così anche Carlo ha finito la sua breve vita schiantandosi al suolo e lasciando in quel giorno di dicembre solo un silenzio più gelido di qualsiasi inverno. " Vent’anni sono pochi per farsi aprire la testa.. " cantava una delle sue primissime rime, ma anche trent’anni sono troppo pochi per farsi aprire la testa, in un assurdo incidente di moto. Trent’anni, il culmine, il vertice di una vita intensa. Non una vita facile ma una vita intensa, giocata tutti i giorni, combattuta, goduta, sofferta e amata con forza. Per spiegare il senso di questa nostra vita non può esserci niente di meglio che i versi di una delle più belle canzoni scritte dal leader degli Amici del Vento (Senza ipocrisia sappiamo anche peccare, ma poi non contiam balle, noi, per farci perdonare. Non siamo eroi, né santi, portiam la nostra croce, ma il mondo avrà domani un’altra voce. Con la rabbia in mezzo ai denti, sembriamo senza cuore, ma Fedeltà si chiama il nostro Onore. E Fedeltà vuol dire giurare senza inganni e non tradire mai per mille anni, cantar la giovinezza o il tempo che va e muore, avere sempre un sogno in fondo al cuore (da Il nostro tempo). Dieci anni sono trascorsi da quella tragica sera delle lacrime e della disperazione. Dieci anni da quando, con Carlo se ne andò la nostra giovinezza e una parte di noi stesso. Dieci anni passati per testimoniare ricordare e andare avanti, cercando disperatamente di non uscire dal sentiero tracciato insieme in quella stagione di passione, di lotta e di amore che furono i nostri anni Settanta. In quegli anni molte cose sono avvenute e di straordinaria importanza. I nostri due nemici più agguerriti, il comunismo violento e disumanizzante e la partitocrazia corrotta e corruttrice sono crollati. Un risultato impensabile negli anni in cui Carlo scriveva e cantava le sue canzoni. Eppure a riascoltarle oggi, molte di quelle rime appaiono profetiche, come " Il sole vincerà sopra la sera, domani un altro sole sorgerà, ragazzo biondo tu potrai domani sorridere alla nuova civiltà- oppure "Non bastan le parole dei vecchi ciarlatani, con voi abbiamo chiuso, oggi è per noi già domani. Per noi non c’è più posto in un mondo di relitti, ma non saremo noi quelli sconfitti- o le più tristi e malinconiche – Vecchi amici ci saluto, voi vedrete primavera; comunismo tu hai perduto, vincerà la libertà- Carlo cantautore dunque ma non solo, anche amico, medico e militante. Carlo l’amico: ma come si fa a spiegare un’amicizia? Quali parole si possono inventare per far capire un legame così completo e perfetto? L’amicizia quella vera, autentica, assoluta, è forse il sentimento più forte e puro dell’uomo. Dire che Carlo era un fratello, un altro se stesso in cui potersi sempre specchiare non basta. Forse è meglio scegliere un episodio: ma quale fra tanti? Certo fra i ricordi più belli ci sono i lunghi viaggi in auto, in treno o in moto attraverso l’Italia e mezza Europa per gli spettacoli degli Amici del Vento. Il ricordo di quelle ore è fra i più pieni e felici della nostra vita. Si parlava di tutto e si scherzava su tutto. Cantavamo, ridevamo, discutevamo . Poi quando si rientrava a casa, ci si sentiva più ricchi, più grandi più veri. Eppure c’è un ricordo personale che in assoluto, per me è il più bello, completo e struggente. Una breve vacanza in montagna, appena un anno prima della sua morte. Ad un certo punto rimanemmo soli io e Carlo di fronte al fuoco mentre tutti gli altri dormivano. Passammo un paio d’ore di assoluta tranquillità, con il bicchiere rosso, le castagne da sgranocchiare, lontano dai problemi quotidiani, un paio d’ore a parlare di noi, della nostra vita della nostra morte, dell’aldiqua dell’aldilà. E sempre in tutto la sensazione completa, rassicurante pregnante di poter parlare senza bisogno di spiegare, senza dover dimostrare nulla. Essere capiti nel profondo del cuore, ascoltare e comprendere subito, altrettanto bene ogni sfumatura dell’anima dell’altro. Purtroppo le parole non bastano ma negli occhi e nel cuore mi è rimasta l’immagine di quell’attimo felice, di quei minuti colti al volo, rubati al tempo, regalati allo spirito. Immagini che si contrappongono lacerando il cuore a quelle strazianti della sera in cui Carlo morì. Ecco improvvisamente tutta la vita si schianta si frantuma contro un muro di inutilità. Gioie ricordi, delusioni, dolori, felicità, pensieri, discorsi, giochi, allegria, risate, canzoni, battute, rimpianti, illusioni, speranze, amarezze, esaltazioni, umiliazioni, bisbocce, sbornie, pianti, amori, imprecazioni, inni, sogni.. Tutto scompare e rimane solo il vuoto delle lacrime. Lacrime che si sono confuse anche con quelle di Cristina, la fidanzata di Carlo che con lui e con noi aveva diviso la felice avventura degli Amici del Vento. Lacrime che facevano tornare in mente le parole di Nel suo nome, scritta per un’altra donna che aveva visto morire il suo ragazzo e di Vecchi amici (non si contano i cipressi sulla strada dell’addio, non si contano le spine sulla rosa dell’amor mio, non si contano gli amici che la terra ha già inghiottito) che facevano tornare alla mente quanti lo avevano tragicamente preceduto come Sergio Ramelli e quanti purtroppo lo seguiranno come Almerigo Grilz. Carlo amico mio, ma anche Carlo medico. Volersi laureare in medicina è una scelta di vita. Per Carlo Venturino una scelta di sacrificio. Prima di tutto perché iscriversi a medicina cioè all’Università Statale di Milano negli anni Settanta era per lui, come per tutti i militanti della nostra area politica, quasi un suicidio. Erano anni di passione e di lotta e anche solo avvicinarsi alla Statale presidiata giorno e notte dai gruppi armati comunisti, significava rischiare la pelle. Frequentare regolarmente era impossibile, ma anche dare gli esami era difficile e pericoloso. La laurea non gli schiuse però le porte di una professione facile. Non ereditava lo studio di papà e nessun politico gli avrebbe assegnato la mutua facile come è avvenuto per certi suoi colleghi laureati in terrorismo . Oltretutto Carlo scelse per vocazione la più dura lunga e difficile delle specializzazioni e anche quella meno remunerativa: la chirurgia d’urgenza. E lo ricordo bene in quei primi anni di duro volontariato in ospedale mentre preparava la tesi e si massacrava in turni estenuanti al Pronto Soccorso S. Paolo. Lo ricordo quando uscendo dall’Ospedale, a volte all’alba, passava da me per un caffè e quattro chiacchiere o anche solo per sfogarsi un po’. Ad ascoltare i suoi racconti c’era da mettersi le mani nei capelli di fronte a a tanta disorganizzazione e a tante croniche disfunzioni dei nostri ospedali.. Eppure quando parlava di un caso risolto o di un ferito salvato, gli brillavano gli occhi cerchiati dalla stanchezza e capivi quanta passione si celasse dietro alle sue lamentele. Aveva scelto di diventare medico per quella necessità di donarsi che era tipicamente sua: attraverso la politica, le canzoni, l’amicizia, o l’amore. Ovunque ha portato la sua umanità, la ricchezza d’animo e quella sua purezza, quella lealtà fresca ed onesta, emblematica del suo carattere. Credeva tanto in quel che faceva da sopportare le continue disfunzioni, i ricatti, le meschinità dell’ospedale scavandosi una nicchia di totale dedizione ai sofferenti che le ambulanze scaricavano al Pronto Soccorso. Così viva è stata la sua presenza pur nel caos ospedaliero così unica la sua carica umana da ispirare al primario, gli aiuti e gli assistenti del reparto di rianimazione del S. Paolo queste sentite parole di necrologio – Restano in tutti il ricordo e il rimpianto incancellabili della bontà fidente e operosa e del mirabile senso del dovere che hanno ispirato ogni istante della sua breve nobilissima vita – Il giorno del suo funerale fuori dalla Chiesa di S. Maria delle Grazie oltre a noi in lacrime, c’era anche il suono lacerante delle sirene delle ambulanza suonate da quei volontari che avevano imparato a conoscerlo al Pronto Soccorso, sempre disponibile, preciso, tempestivo, umano con tutti. Amore per la vita. Ecco in totale sintesi il semplice eppure raro segreto di Carlo Venturino. Lui così solare, così vitale, amava la vita e la difendeva anche nelle canzoni come in Camice bianco e Lettera ad un bambino buttato via. Ma soprattutto Carlo suonava e scriveva canzoni. Canzoni piene di rabbia, di voglia di rivincita, capolavori di beffarda ironia e dolci poesie in cui le idee emergevano attraverso il filtro dei sentimenti antichi e puri dell’uomo. Nacquero così gli amici del Vento, un gruppo musicale del quale oltre a Carlo, facevano parte il fratello marco, la sua fidanzata Cristina ed il sottoscritto. Era il 1977 quando al primo Campo Hobbit gli Amici del Vento ebbero il loro autentico battesimo in una notte magica di fronte a centinaia di giovani giunti da tutta Italia per quello che fu il primo di una lunga serie di concerti della neonata musica alternativa, come venne definita la voglia di cantare dei giovani di destra. Carlo scrisse e musicò 30 canzoni, alcune insieme al fratello arco, quasi tutte raccolte in due musicassette pubblicate nel 1976 e nel 1977, vendute in migliaia di esemplari nel corso di decine di concerti in Italia, Germania, Spagna, poi negli anni duplicate e passate di mano in mano infinite volte fino a diventare forse il più diffuso samizdat politico italiano, fino alla recente ripubblicazione in versione originale rimasterizzata che ha definitamente salvato la voce di Carlo Venturino consegnandola alle generazioni future.


Gruppi citati

AMICI DEL VENTO