Rassegna Stampa

Skoll, il rock identitario e la musica alternativa

Testata: IL GIORNALE OFF

Data:25 novembre 2012
Autore: Antonio Lodetti
Tipologia: Intervista

Locazione in archivio

Stato:Solo Testo
Locazione: ASDI-Archivio digitale RS,Web/Il Giornale Off,Il Giornale Off 2012-11-26

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Abbiamo incontrato Skoll, artista milanese (militante) della musica alternativa di destra che oscilla tra il cantautorato e il rock aggressivo

Antonio Lodetti - Lun, 26/11/2012 - 17:19


Abbiamo incontrato Skoll, artista milanese (militante) della musica alternativa di destra che oscilla tra il cantautorato e il rock aggressivo.

Come nasce la tua carriera artistica?
Anche se non credo che un percorso artistico possa nascere in alcun modo da un progetto pianificato, fin dal principio (circa 13 anni fa) cominciai a fare musica con l’obiettivo di diffondere un mondo fatto di valori, storie, ideali che veniva relegato, sbrigativamente e troppo superficialmente, nelle zone d’ombra della cultura di questo Paese.


Non si trattava, appunto, di una precisa volontà o di un piano teorico, piuttosto di una naturale e inevitabile forma di espressione nata da un profondo sentire. Un mondo al quale appartenevo, umano, politico e musicale, che aveva tanto da raccontare ma che soffriva indiscutibilmente sul piano formale: la mia idea era quella di proporre una musica che veicolasse tematiche e messaggi diversi senza cadere nella trappola mortale della forma canzone approssimativa, qualitativamente improvvisata, inadeguata e fuori dal tempo. In un certo senso, imposi a me stesso, nel percorso artistico che stavo iniziando, di non pensare di rivolgermi a una realtà sommersa, underground che avrebbe accettato, per generosità e forte senso di appartenenza comunitaria, anche una proposta musicale più semplice. L’impegno e la volontà di proporre qualcosa di più articolato, che avesse gli strumenti per competere tranquillamente con quello che succedeva nel resto del mondo cantautoriale italiano, era un atto dovuto proprio verso quel mondo, il mio mondo. Un fatto di appartenenza, non una cosa di poco conto. Alla fine, così, ho potuto anche proporre una musica che, pur restando sempre piuttosto sorda al canto delle sirene e lontana dalle strade conformi già battute da tanti, ha sempre cercato di andare oltre i muri e rivolgersi a tutti. In questi 13 anni ho fatto più di 200 concerti (anche in Canada, Spagna, Germania, Francia, Olanda, Belgio) e 7 dischi prodotti dall’etichetta indipendente RTP – Perimetro (una realtà che ha contribuito non poco a diffondere la cultura non conforme).
Come si vive da artista di Area? Cosa vuol dire essere di destra nel mondo della musica?
Alla musica italiana, per un solido retaggio culturale di questo Paese, non è permesso percorrere strade e tematiche nuove. La cultura popolare italiana (musica, televisione, cinema e così via), è un sistema di blocco esercitato a quasi tutti i livelli da rimasugli del ’68. I gangli vitali del sistema della cultura popolare, produttori, distributori, discografici, registi, uomini di spettacolo e giornalisti del settore, vengono in gran parte da quella esperienza. Anche se, evidentemente, da parte di questa generazione di riciclati e immortali non ci sono più motivazioni forti a proseguire esplicite lotte ideali (ormai diluite da litrate di champagne, pacchi di denaro e serate passate in salotti radical- chic a teorizzare sui conflitti di classe), esercitare un blocco culturale non costa fatica, segue la direzione del vento e autoconvince, chi lo esercita, di avere proseguito la missione politica con nuovi strumenti. Un modo, un po’ ridicolo, per pulirsi la coscienza dopo avere buttato via, nel concreto, tutto quello a cui si era giurato eterna fedeltà in gioventù. La cultura pop italiana è in una evidente situazione di stallo, del tutto impermeabile a cambiamenti e linguaggi nuovi. È naturale che per un artista di Area, etichettato come “diverso” a priori, nel solco della “tollerante” tradizione di sinistra (tutte le idee vanno bene, ma non quelle diverse dalle nostre), risulta quasi impossibile farsi conoscere passando dai canali mediatici canonici (televisione in particolare). Lo dico senza alcun piagnisteo. Non nutro alcuna ambizione musicale di tipo “professionale”. Per me, la musica non è una professione ma esclusivamente una passione… una forma di espressione che mi permette di comunicare senza filtri o imposizioni commerciali. Non sono un professionista e non scalpito per diventarlo. Chi vuole, alla fine, mi trova, trova i miei brani, trova i miei dischi. Chi non vuole, non mi ascolti. La rete, nel bene e nel male, sta spezzando molte catene e finirà per rompere il blocco esercitato dai manovratori della cultura popolare di questo Paese.

Chi ti ha ispirato particolarmente in ambito musicale?
Anche se, da un punto di vista strettamente musicale, la mia produzione si inserisce nel solco del classico rock cantautoriale italiano, amo diversi generi e mi incuriosiscono le contaminazioni. In questi anni, del resto, ho realizzato dischi con differenze di sonorità abbastanza sostanziali. Sono fermamente convinto che la musica di qualità scavalchi i confini di genere: la bella musica è bella musica e basta, sia che si tratti di leggera, metal, sinfonica, industrial… La musica italiana ha dalla sua, nella forma canzone, alcuni autori che scrivono testi estremamente interessanti. Una caratteristica difficile da trovare all’estero dove, troppo spesso, c’è una tendenza alla banalizzazione. È una questione di cultura e di lingua. Generalizzando, a causa del target commerciale, si può estendere il discorso anche ai sottoprodotti di musica pop italiani. La musica pop, infatti, si rivolge a un pubblico enorme. Per questo motivo, deve parlare un linguaggio comprensibile alle masse. Inevitabile, di conseguenza, la massificazione e la banalizzazione del linguaggio (anche musicale) oltre che l’inutilità di un’autentica espressione artistica. Per fortuna, sopravvivono eccezioni. Adoro Franco Battiato, un genio; mi piacciono molto Enrico Ruggeri e Davide Van Des Froos; mi coinvolgono molto il folk rock del musicista ceco Daniel Landa e la potenza sonora di gruppi come i Rammstein.

Il tuo rapporto con Mishima?
Anni fa, ho realizzato un concept album dedicato a Yukio Mishima e al Giappone tradizionale. Un disco rock piuttosto duro, sia nelle tematiche che nella musica, che intitolai semplicemente “Sole e acciaio”, come il titolo della più importante opera politica di Mishima. Il personale tributo a un uomo di stupefacente ricchezza culturale e di grande complessità interiore, comunemente banalizzato oltre ogni limite dopo il suicidio del 1970. In questi anni ho studiato a fondo le opere e la vita di Mishima. Ho letto tutto quello che ho potuto, ho assimilato, ho scritto molto (tra cui un capitolo del mio ultimo libro) e ho restituito anche attraverso la musica. Confinare Yukio Mishima al solo ruolo di grandissimo romanziere è un equivoco che, alimentato dal conformismo che per evidente inadeguatezza e senso di inferiorità nasconde gli aspetti politicamente scorretti dei grandi geni del passato, preclude irrimediabilmente la comprensione totale dell’artista e dell’uomo.

Recentemente, è uscito in libreria il tuo ultimo libro “Questo mondo non basta. Uomini ed eroi” (edizioni Ritter). Vuoi parlarne?
Si tratta di un libro fatto di storie, personaggi storici, riflessioni sul presente, suggestioni e racconti di famiglia che nasce prendendo spunto da alcune mie canzoni. La musica, però, in questo caso rimane sullo sfondo di un percorso articolato e di un mondo fatto di realtà, uomini e donne a me molto cari. Le mie canzoni sono state così il pretesto per racchiudere, tra le pagine di un libro, parte di questo mio mondo. Nella seconda parte del volume, invece, è stata pubblicata una mia breve biografia e discografia (accompagnata da una serie di testimonianze fotografiche dei miei concerti) scritta dalla giornalista Cristina Di Giorgi.


Hai suonato anche con Gatto Panceri? Chi suona nella tua band?
Una decina di anni fa ho suonato con Gatto Panceri a Follonica, in un concerto in piazza organizzato dal Movimento per la Vita. Sono contento di avere aperto un suo concerto perché lo considero davvero un ottimo autore. Quella sera c’era tantissima gente, circa 4000 persone, e io avevo cominciato a suonare da poco: fu una bella prova. Da molti anni, i musicisti che suonano con me sono gli stessi. In particolare, Fabio Constantinescu, alle chitarre e al basso, e Davide Picone, al pianoforte e alle tastiere. Devo molto a entrambi: Fabio, con la sua grande bravura e precisione tecnica (anche agli arrangiamenti) è un supporto fondamentale anche nel lavoro di studio; Davide, con la sua preparazione e formazione musicale, è una grande risorsa soprattutto dal vivo.

Prossimi progetti?
Stiamo lavorando al prossimo disco che uscirà in primavera. Per quanto possa sembrare strano, considerando l’aspetto identitario della mia musica, questo sarà il mio primo lavoro dedicato esclusivamente all’Italia. Ho voluto rispondere, indirettamente, a chi oggi trasmette ogni giorno un’immagine depressa e mediocre di questo Paese. L’ho fatto a modo mio: scrivendo musiche e parole. Non si tratta, però, di canzoni “contro”. Chi conosce la mia discografia sa che in tutti questi anni con la mia musica ho sempre proposto alternative positive, modelli, esempi. In un momento di grande difficoltà, con un governo non votato da nessuno che sta devastando l’economia reale dall’alto di teorie economiche impregnate di una chiara ideologia e di teoremi lontani anni luce dalla realtà, ho sentito il bisogno di mostrare un’Italia diversa per proporre dei percorsi alternativi. Di fronte al disastro economico degli ultimi mesi causato da chi non capisce la differenza tra economia e finanza e tra la teoria dei numeri e la pratica dell’autentico lavoro, ho scritto di italiani che hanno, loro sì, fatto il bene dell’Italia. In questo disco canterò dei ragazzi che hanno fatto il Risorgimento con slancio ideale, pensando alla bandiera e non alla politica; degli alpinisti di Ardito Desio che si sono aggrappati disperatamente alle pareti assassine del K2 per piantarci in cima un tricolore; dei leggendari soldati italiani della battaglia di Isbuscenskij; dell’originalità e genialità futurista; di Paolo Borsellino e di chi, come lui, si è sacrificato dimostrando che un solo uomo con la schiena dritta vale infinitamente di più di una moltitudine piegata a ogni tipo di compromesso, come quello tra politica e mafia. La mediocrità, anche quella di governo, non può nulla di fronte all’esempio. I numeri e le parole hanno poco valore, gli uomini restano.


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