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Mestoli, chitarre e radici tradizionali

“Fornelli bollenti”: questo il titolo scelto per una particolarissima ed interessante iniziativa la cui prima edizione, recentemente conclusa, ha riunito attorno a tavole imbandite con i piatti tradizionali romani e veneti, uomini e donne che stanno facendo, nel proprio quotidiano, un percorso politico e ideale molto simile. Una gara culinaria dunque, accompagnata da un confronto musicale tra i gruppi identitari di riferimento delle comunità che si sono sfidate. Una gara che, oltre all’entusiasmo e alla voglia di divertirsi insieme, aveva anche l’importante scopo di raccogliere fondi per sostenere il Campo della Memoria di Nettuno e la Piccola Caprera di Ponti sul Mincio, luoghi simbolo di una storia patria gloriosa da proteggere e diffondere.

“L’idea – spiegano le ragazze di Raido e VenetArditamente – è nata nel corso di una semplice chiacchierata in occasione dell’annuale incontro con le ausiliarie del Saf”. Detto fatto: lanciato il guanto di sfida, la Capitale ha visto svolgersi, nel corso di una serata che resterà nella memoria di tutti come una delle più belle bandiere dello spirito comunitario, la prima parte della gara. Donne al lavoro in cucina, con risultati decisamente di rilievo per entrambe le agguerrite formazioni, e gruppi musicali (La vecchia Sezione per i romani e i Topi Neri per il Veneto) che, dopo aver mangiato e bevuto insieme, si sono alternati sul palco a fare da colonna sonora e non solo a scambi di idee e confronto tra i molti presenti. Dato il livello (assai alto!) di entrambe le formazioni, sia in cucina sia sul palco, è risultato praticamente impossibile decretare un vincitore.

fornelli bollenti

Fatto questo che non ha comunque impedito che nel corso della disputa di ritorno, in quel di Verona, si respirasse una sana tensione agonistica, frutto della voglia di confrontarsi e di un orgoglioso e positivo campanilismo tradizionale. “Il cibo – scrivono ancora le ragazze – a detta dei giurati era all’altezza delle aspettative ed il tocco musicale non era certo da meno. Ma ciò che contava era il clima di fratellanza e la voglia di imparare, perché anche la conoscenza di un piatto nuovo e il dialetto che è sinonimo di radici, mettono in luce una parte delle origini di noi tutti”. Alla serata hanno partecipato anche l’ausiliaria della GNR Gina Romeo e Stelvio dal Piaz (Fiamme bianche e oggi tra i creatori della Fondazione RSI): “la loro presenza ci ha fatto molto onore – dicono i protagonisti della gara – perché li consideriamo inossidabili colonne e punti di riferimento fondamentali per tutti noi”.

Ed anche in questo secondo incontro è stato più che arduo stabilire quale fosse la squadra vincente: “intorno alle 2 di notte, con il concerto che non accennava a voler finire – raccontano gli sfidanti – con il benestare di Stelvio si è giunti alla conclusione che nulla fosse più corretto di concludere la gara con una stretta di mano e con la promessa di ritrovarsi il prossimo anno, coinvolgendo altre realtà che volessero mettersi in gioco per far conoscere la propria terra, la tavola, il dialetto. Il tutto supportato dalla propria band di riferimento”.

Cristina Di Giorgi

(Il Giornale d’Italia, 10 maggio 2015)

Freschi pensieri che l’anima schiude

Un percorso attraverso la storia degli italiani: così gli stessi Malnatt hanno descritto il loro ultimo cd, dall’evocativo e dannunziano titolo “Freschi pensieri che l’anima schiude”. Un percorso poetico e musicale, nato, spiegano i componenti del gruppo, “per contrastare la distruzione dell’Italia: è questo infatti l’obiettivo del ‘mondo moderno’: distruggere la ‘forma’ Italia, la sua bellezza, il suo primato in tutte le arti e l’inesauribile capacità degli italiani di ribellarsi con ogni mezzo ad ogni forma di sudditanza. Di fronte a tutto questo noi sentiamo di avere un compito urgente e disperato: cercare di mettere al sicuro almeno le opere più importanti degli italiani, ricordarle e rivalutarle. Certo – è scritto nel libretto del cd – questo nostro tmalnattentativo è solo una goccia nel mare, ma noi ci proviamo comunque”.

Ci hanno provato. E ci sono riusciti, creando un qualcosa di molto particolare: poesie e canzoni in acustico. Chitarra e voce. Note e parole, che vanno a comporre un mosaico di 25 tracce che va ascoltato in silenzio assoluto. Magari di notte, al buio, lasciandosi trasportare dallo spirito che ne costituisce il filo conduttore.

Ciò che resta, alla fine, è un senso di profonda commozione e rinnovata ammirazione per un’Italia di cui andare fieri. Brani di D’Annunzio, Foscolo, De Amicis, Ungaretti. Versi di soldati che, in cielo e in terra, hanno versato il loro sangue per la grandezza d’Italia. El Alamein, i ragazzi della Folgore. E ancora, in musica, l’Istria, la vita dura dei ribelli di ieri e di oggi, il loro orgoglio, la loro voglia di resistere, per dimostrare al mondo intero il senso dell’amore per l’Italia.

Freschi pensieri che l’anima schiude” è un lavoro che contrasta con lo stile rock duro a cui i Malnatt hanno abituato i loro seguaci. Un lavoro che, anche per questo, risulta assai apprezzabile. Colpisce in modo particolare, per chi conosce la potenza del gruppo lombardo, l’espressione vocale e musicale lieve, quasi trattenuta. Che riesce quindi, anche per questo, a dare ancora maggior risalto ai valori che intende tramandare.

Cristina Di Giorgi

(Il giornale d’Italia, 10 maggio 2015)

“E noi sempre in piedi, come lampi di cuore”

Migliaia di persone, ognuna con la sua storia e i suoi ricordi. Migliaia di cuori che hanno riempito prima la chiesa dei Santi Nereo e Achilleo per pregare per Sergio Ramelli e sua mamma Anita e poi si sono riversati nella piazza antistante, dove era stato allestito un palco su cui, a fare da sfondo, erano state poste tre gigantografie dei volti di Sergio, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani, che sembravano osservare tutti quelli che, militanti e gente comune, si stavano preparando a ricordarli.

E’ stato un 29 aprile molto particolare quello vissuto a Milano. Preceduto da tensioni che non hanno nulla a che vedere con la verità e il rispetto per i morti, il giorno in cui la città e non solo ha commemorato l’anniversario dei tre martiri quest’anno ha visto il rinnovarsi di una tradizione forte, intensa, toccante. E da ieri sera condivisa con la cittadinanza. Per la prima volta infatti, il ricordo è stato celebrato in una piazza. Quella del quartiere in cui settant’anni fa Carlo Borsani è stato ucciso. Quella poco distante dalla via in cui, nel 1975, Sergio Ramelli ha incontrato la morte. Quella a poche centinaia di metri dal luogo in cui, l’anno successivo, anche Enrico Pedenovi ha conosciuto l’odio di chi predicava che uccidere un fascista non è reato.

“Su questo 29 aprile avete letto di tutto. L’unica cosa che conta è questa piazza. L’unica cosa che conta – ha detto Guido Giraudo nel suo intervento di apertura della manifestazione – è che siamo ancora uniti nel ricordo di Sergio, Enrico e Carlo e di tutti i nostri martiri”. Giraudo ha poi proseguito sottolineando l’impegno delle realtà organizzatrici dell’evento (Lealtà Azione, Casapound, Forza Nuova e Fratelli d’Italia) e ricordando il significato della commemorazione e le radici del rito dell’Appello, nato nelle trincee quando, dopo una battaglia, i soldati ancora vivi rispondevano “Presente” al posto di quelli che non potevano più farlo.

Poi Barbara e Claudio, attori del laboratorio Vertex teatro, professionisti e anche militanti (come tutti coloro che si sono alternati sul palco e che hanno contribuito con passione e dedizione alla preparazione della serata), hanno recitato un brano dedicato a Carlo Borsani, tratto dall’opera poetica “La libertà” di Alfonso Indelicato.sergio carlo enrico 2

Skoll e Davide Picone hanno quindi aperto l’appuntamento musicale con “Campi Elisi”, che con la sua atmosfera di intensa serenità permette a chi ascolta di “incontrare” tutti coloro che ci hanno preceduto. Molti dei quali sono entrati dalla vita dalla porta sbagliata e l’hanno affrontata ridendo, come ha scritto Massimo Morsello inCanti assassini, che la voce di Skoll ha fatto risuonare tra i palazzi del quartiere di Sergio. I cui capelli al vento e la semplice purezza sono poco dopo tornati a vivere sulle note di Più caro agli dei. Con Anita, uno tra i brani più belli del cantautore milanese, è poi stata di nuovotra quelli che ha sempre considerato un po’ come suoi figli mamma Anita Ramelli.

A lei è stata dedicata anche la seconda interpretazione degli attori di Vertex: un testo tratto dal libro “Una storia che fa ancora paura” (ripubblicato, per questo particolare anniversario, un un’edizione speciale aggiornata). Parole con cui il cuore distrutto di una madre racconta il momento in cui suo figlio le ha detto addio accarezzandole la mano.

I DDT, che come ha detto Guido Giraudo introducendoli, sono stati tra i primi a raccogliere l’eredità degli Amici del Vento nel commemorare in musica il ricordo di Sergio, Enrico e Carlo, hanno poi eseguito la loro 29 aprile, emozionando tutti coloro che, anno dopo anno, si sono ritrovati per le vie di Milano in questa data simbolo di dolore e radici. Rinnovate poco dopo con l’interpretazione, in versione riarrangiata, di brani di Massimo Morsello (Noi non siamo uomini d’oggi), Francesco Mancinelli (Generazione 78) e 270 bis (Non scordo).

Poi di nuovo poesie, tratte questa volta da “Chi ha paura dell’uomo nero” di Paolo Bussagli, lo spettacolo teatrale che ripercorre le vicende dell’omicidio Ramelli. Ultimi a salire sul palco sono stati gliAmici del vento, che hanno eseguito alcune delle loro canzoni (Anni 70, Vecchio Ribelle, Nel suo nome e l’omonima Amici del vento) con cui, negli anni, è stato tramandato il ricordo di atmosfere, sensazioni e modo di essere della Comunità politica riunita in piazza a ricordare i suoi martiri.

Durante tutta la serata i partecipanti, a piccoli gruppi, si sono recati nella vicina via Paladini (angolo via Amodeo), sotto casa di Sergio. A deporre un fiore ed una candela. Bianchi come la purezza di quel giovane che da lassù, insieme a mamma Anita, ha certamente osservato, forse sorridendo, quella silenziosa e commossa processione.

Il culmine della manifestazione si è avuto quando, sul sottofondo delle note maestose e solenni del Tannhauser di Wagner, sono state pronunciate le motivazioni per le quali Sergio, Enrico e Carlo continuano ad essere ricordati. Ed al termine di ogni lettura, migliaia di voci hanno risposto “Presente” alla chiamata dei nomi dei caduti. Un grido che, tra le fiaccole accese che ognuno teneva in mano, ha squarciato il buio della notte e il silenzio dell’indifferenza. Un grido che, accompagnato dalle lanterne portate in alto dal vento, ha raggiunto Carlo, Enrico e Sergio nel cielo d’aprile, insieme alle note di “Il domani appartiene a noi”, coro finale intonato con emozione da tutti i presenti.

Fin qui il racconto di quanto avvenuto. Ciò che è invece difficilissimo da descrivere, perchè a volte le parole non bastano per esprimere come si vorrebbe le emozioni vissute, è la forza trascinatrice e trascinante che serate come quella del 29 aprile a Milano regalano ai cuori puri che vi partecipano. Una forza fatta di lacrime, abbracci, parole dette e non dette, nodi nella gola, gambe che tremano. Una forza fatta di passi silenziosi, di consapevolezza, di lealtà, di impegno, di fatica, di battaglie future. Una forza moltiplicata perchè condivisa con una famiglia ideale pronta a rinnovare ogni giorno nell’azione la promessa fatta a Sergio, Enrico e Carlo. Una forza che consente, a chi se ne fa portatore e scintilla, di camminare verso il futuro sempre a testa alta e di cantare con amore e con orgoglio “noi sempre in piedi, a gridare il suo nome, avambracci distesi, la pace e l’onore! Spiriti tesi, nel giorno che muore, uomini in piedi, come lampi di cuore”.

Cristina Di Giorgi

(articolo pubblicato su Il Giornale d’Italia, 1/5/2015)

(foto di Matteo Pisoni)

Tra le foglie del Bushido e le note di Skoll

“Se il sipario rimarrà sollevato, l’opera continuerà all’infinito”. Questa frase, scelta da Skoll come sintesi e simbolo del suo ultimo cd intitolato Il sogno di Mishima (Perimetro, aprile 2015), è del grande scrittore giapponese. Al quale il cantautore lombardo ha dedicato una nuova perla della sua produzione musicale: un disco che esce in contemporanea con “Danzando nel cratere del vulcano”, il bellissimo libro in cui lo stesso autore ha mirabilmente tracciato un personale ed originale percorso nell’opera del genio nipponico.

Preceduto, come ormai da tradizione, da un’anticipazione scaricabile gratuitamente dal sito di Canti ribelli – Lorien, questo nuovo lavoro di Skoll ripropone, in versione riarrangiata, tutti i brani che uno dei migliori artisti dell’area identitaria ha scritto sul Paese del Sol Levante e sul suo forse più grande rappresentante. Mishima appunto. Il cui sogno (“un Giappone ricoperto di ciliegi in fiore, di giovani desti, di muscoli caldi”, come recita il testo della canzone – l’unica inedita – che dà il titolo al cd) è tratteggiato con notevole intensità dalle note e dalla voce di Skoll. E prende vita in questi dieci brani come un mosaico animato.

il sogno di mishima

Si comincia appunto con Il sogno di Mishima, per passare poi a due pezzi dedicati al kendo (Bushido e La via della spada), che Skoll, da praticante dell’arte marziale che lo stesso genio del Sol Levante aveva fatto propria, descrive con una poesia guerriera coinvolgente e diretta. Seguono Zero e Unità d’attacco Shikishima, che rendono omaggio ai piloti che, con le loro imprese di caccia e sacrificio, hanno scritto, nei cieli, una pagina eroica della storia, non solo del loro Paese. Un Paese che, in Tokio quattrocinque, è immortalato in un momento difficile e durissimo: quello della sconfitta nella Seconda guerra mondiale. Quello però in cui “sprofondando nel disonore di questa realtà” con intorno le macerie lasciate dal conflitto, c’è comunque chi non cede e attende la rinascita.

Ad una delle più intense opere di Mishima è poi ispirato Patriottismo,un pezzo in cui, come nel racconto e nel film scritto e diretto dal grande scrittore, vita, sacrificio e sangue si fondono in un’unità perfetta di amore e morte. Ed ancora: “l’orgoglio non baratto per un mondo avvelenato! Sono goccia che annuncia la tempesta” canta Skoll in Radio Mishima. Il brano è dedicato al Tatenokai, l’Associazione degli Scudi che, come nelle intenzioni del suo fondatore, ha raccolto la gioventù migliore del Giappone per prepararne la rinascita spirituale, dando un senso profondo al gruppo, che trascende e rafforza l’impegno individuale.

Segue Sole e acciaio, anch’essa ispirata all’omonimo lavoro dello scrittore giapponese, in cui le parole di Skoll e le sue note accompagnano chi ascolta verso una “verità che adesso tu vivrai”, fatta di impegno per rinforzare fisico (e spirito), di “impazienza e voglia di riscatto”, di “anima e corpo nella dualità”. A chiudere un disco che oltre ad essere musica e poesia appare come un mosaico di idee e tradizioni che, se c’è chi le incarna, anche in un Occidente vuoto e decadente possono trovare spazio, c’è Yukio Mishima. Una canzone che, come una pennellata leggera e perfetta, tratteggia in pochi versi il senso più profondo della parabola esistenziale dell’Ultimo Samurai: “come il fiore reciso che io scelsi tra mille per te, il più bello è il più giovane che prima cade sul prato dimostrando che vivere non ha senso senza il morire, ripercorrendo il sostanziale sacrificio degli Eroi”.

(di Cristina Di Giorgi, pubblicato su Il giornale d’Italia del 17/04/2015)

Intervista a Guido Giraudo su Magna Polonia

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Pagina dell’intervista a Guido Giraudo pubblicata su Magna Polonia

1. Come sei diventato militante di destra? Dalle tradizioni familiari?
Non esattamente. Mio padre, ufficiale di Cavalleria, era monarchico. Come tale, l’8 settembre 1943, rimase fedele al giuramento al re nonostante la sua fede fascista. Fu imprigionato dai tedeschi e detenuto proprio in Polonia. Da lui ho appreso il senso dell’onore e della fedeltà. Mi sono avvicinato alla destra neo-fascista al liceo, nel 1968, come reazione alle prime occupazioni, al caos, alla menzogna e alla violenza che accompagnavano tutte le azioni della sinistra. Avevo 15 anni, quindi non ero un gran “militante” ma, da allora, non ho mai abbandonato l’area.

2. Facevi l’università ed eri dirigente nazionale del FUAN durante gli anni settanta. Come si viveva e militava in quegli anni essendo un giovane di destra?
A Milano era davvero pericoloso ed era quasi impossibile fare politica. Mi iscrissi ad Economia e Commercio alla Università Bocconi e, al secondo esame, fui aggredito con spranghe e bulloni (fortunatamente non ero uscito dalla macchina e riuscii a salvare la pelle). Allora mi iscrissi all’Università Cattolica (che era un po’ il “rifugio” di quelli di destra). Lì cercai per 3 anni di presentare delle liste anticomuniste, ma finì sempre con un sacco di botte prese…

3. Negli „anni di piombo” sono nati anche gli Amici del Vento. Com’e’ nato il gruppo e come si svolgeva la sua attività quotidiana? Qual’era il tuo ruolo nel gruppo?
Nel 1975 ero nel FUAN (organizzazione universitaria del MSI) e organizzavamo un piccolo cabaret nella sede degli Arditi (ex combattenti). Qui conobbi Carlo Venturino che suonava la chitarra e cantava delle ballate ironiche. Lui mi fece conoscere un circolo: “Alternativa Nazionale” guidato da un ex legionario della Guardia di Ferro rumena, Niki Constantinescu. Incominciai a frequentarlo (a quei tempi seguivi qualsiasi gruppo non fosse di sinistra, anche i liberali, i monarchici o i cattolici). Nel 1976 Carlo si recò a cantare le sue canzoni a Torino e io lo accompagnai. Fu un grande successo. Al ritorno insieme il fratello Marco e alla fidanzata Cristina decise di formare “un gruppo”; la madre trovò il nome: “Amici del Vento” e le prime canzoni incominciarono a girare. Io non so cantare né suonare… dunque potevo fare solo il presentatore, il cabarettista (nei primi anni) e l’organizzatore (avevo contatti in tutta Italia). Serviva anche quello!

4. Ricordi dei momenti particolarmente felici, belli o divertenti per gli Amici del Vento?
Centinaia. Era la nostra giovinezza a rendere tutto bello e felice, anche il pericolo, anche le difficoltà. Nei lunghi viaggi in auto o in treno per andare a suonare si rideva, si cantava. Poi si conoscevano nuovi camerati, si mangiava poco e si dormiva male !! Ma tutto era bello… Perché avevamo trovato una forma positiva di militanza, utile a tutti ma anche piacevole.

5. Potresti raccontare anche uno di quei felici momenti degli Amici del Vento?
Difficile sceglierne uno: certo la trasferta in Spagna e la nostra esibizione di fronte a 3000 persone nel più grande teatro di Madrid con le ragazzine che ci aspettavano fuori urlanti come fossimo i Beatles. Oppure le infinite prese in giro per una frase sciocca (in genere mia!!!) o per qualche gaffe (di Marco)… Insomma: tamta allegria pur in un periodo duro e drammatico.

6. C’erano dei momenti pericolosi nella attività degli Amici del Vento?
In tutte le attività dell’estrema destra italiana c’era (e c’è ancora oggi) pericolo. Prima di un concerto a Milano fummo attaccati con bottiglie molotov. Quello stesso giorno la sede del circolo Alternativa Nazionale fu devastata e date alle fiamme. A Palermo misero una bomba davanti al teatro in cui dovevamo suonare. A Monza un nostro concerto finì con cariche della polizia e diversi feriti e arrestati…

7. Avete partecipato anche ai Campi Hobbit. Che ricordo ne hai?
– Abbiamo partecipato ai primi due. Hobbti 1 fu la scoperta, lo novità, il cambio epocale. Noi allora non lo sapevamo ma in quei giorni nacquero nuovi lnguaggi, nuove grafiche e nuove musiche che segnarono la destra giovanile fino ai giorni nostri. Il secondo era già animato dalle discussioni interne al partito tra una corrente e l’altra, quindi meno armonioso del primo, c’erano già anche delle esasperazioni che, poi, nle terzo arrivarono al loro massimo grado. Tanto che noi, appunto, non fummo neppure invitati.

8. L’attività degli Amici del Vento negli anni ottanta e’ finita con la morte di Carlo Venturino. Ci racconti del vostro leader?
In questi giorni in cui ricorre il 30.mo della sua morte è stato detto e scritto tanto. Sembra sempre retorico parlare bene di chi non c’è più… Eppure Carlo era davvero eccezionale: un vero capo, carismatico, coraggioso, sempre in prima linea eppure sempre allegro, positivo. Sempre disponibile come camerata, come amico, come medico. Una bella persona, “solare”, perché davvero sembrava sempre portare luce, tranquillità, spirito attivo.

9. Com’era la storia degli Amici del Vento nel secondo periodo della vostra attività?
Dopo la morte di Carlo, il fratello Marco trovò la forza di scrivere 4 nuove canzoni… forse le più belle, tra cui proprio “A Carlo”. Nel 1986 (a 3 anni dalla morte di Carlo e 10 dalla nascita degli Amici del Vento) ci fu un primo concerto. Poi, nel 1993, si decise di incidere una musicassetta con gli inediti di Carlo e le 4 canzoni nuove di Marco. Successivamente Marco riprese a fare concerti, ma non sempre ci trovammo d’accordo sul modo e quindi ci “separammo” per ritrovarci però a organizzare il concerto del 2003 per i vent’anni della morte. A quel punto Marco smise anche di fare concerti. Siamo sempre rimasti legati e, alla fine, l’anno scorso – come tu sai, perché eri presente – Marco ha ripreso in mano la chitarra e insieme abbiamo preso il coraggio per organizzare il grandioso concerto dedicato a Carlo, del 16 dicembre scorso.

10. Sei presidente e fondatore dell’Associazione Culturale Lorien. Com’e’ nata questa associazione e di cosa si occupa? Perché avete scelto questo nome?
Già negli anni Novanta, con l’avvento del digitale, si pose il problema di salvare e conservare le molte produzioni musicali di destra prima che le musicassette o i dischi si deteriorassero. Nacque allora il progetto dell’Archivio storico: non solo raccogliere e catalogare, ma anche masterizzare e persino “restaurare” brani musicali, registrazioni di concerti, produzioni di quei primi vent’anni. A darci fiducia fu una persona eccezionale: Marzio Tremaglia che, in quei tempi, era Assessore alla Cultura nella Regione Lombardia. Da allora abbiamo sempre continuato a raccogliere e catalogare le produzioni musicali di area… Ora, da due anni il sito è fermo, ma posso già dire che in questo 2014 nascerà una Nuova Lorien e tutto ripartirà su nuove basi tecnologiche. Perché Lorien? Siamo tutti molto legati alla cosmogonia tolkieniana e, tra i vari nomi di Lorien, cè anche Lindorinand (“valle dei cantori”).
11. A dicembre si e’ svolto un grande concerto dedicato a Carlo Venturino e agli Amici del Vento. Che significato aveva questo evento per te personalmente e per tutto l’ambiente della destra italiana?
Per Marco e per me, ovviamente, era il dovere della testimonianza e la volontà di trasformare il ricordo personale in memoria collettiva. Le canzoni degli Amici del Vento sono comunque un patrimonio di tutti i gruppi di Musica alternativa (non solo italiana) e per trent’anni sono sempre state cantate. Infatti, come avrai notato ascoltando il pubblico, sono conosciute da tutti: sessantenni e quindicenni. Il fatto di chiamare altri 13 gruppi sul palco ha significato dare riconoscimento a un movimento musicale le cui dimensioni sono poco conosciute al nostro stesso ambiente. Insieme, ha significato trasmettere il testimone. Come puoi immaginare è altamente improbabile che noi si possa pensare a organizzare un concerto tra 10 anni. Speriamo che questo dovere sia ora sentito da quelli che hanno partecipato il 16 dicembre e, quindi, che siano loro a portare avanti la tradizione !

12. Curi anche delle iniziative non-musicali?
Dal punto di vista militante seguo molte attività… nei limiti delle mie possibilità. Con una associazione che si chiama Memento ci prendiamo cura di Campo 10 (il più importante cimitero di caduti della Repubblica Sociale Italiana) e di altri luoghi della memoria Patria. Ogni tanto mi chiamano ancora per tenere conferenze e il libro che scrissi sulla vicenda di un martire degli anni Settanta (Sergio Ramelli) ancora viene diffuso e ancora genera dibattiti.

13. Puoi descrivere in breve la situazione della destra italiana di oggi?
La destra ex-missina (post fascista) è politicamente inesistente, frammentata in piccoli partiti che non arriveranno ad avere nessuna rappresentanza. L’area di “destra” generica è quindi occupata in parte dalla Lega, in parte da ciò che resta del partito di Berlusconi. Invece, a livello associativo, locale, esistono decine e decine di splendide realtà militanti, oggi molto attive anche in campo sociale, che potrebbero diventare il tessuto con cui forgiare un nuovo abito… Manca però un motivo di unità (un leader o un forte richiamo emotivo) e così siamo tutti simili (nelle idee) e tutti divisi (nell’azione).

14. Hai una grande esperienza come militante politico. Puoi dare un messaggio o dei consigli per i giovani militanti polacchi che leggeranno quest’intervista?
Conosco poco la vostra realtà e certo è diversa per storia, tradizione e situazione politica interna da quella italiana. L’unica cosa che mi sento di dire è che il primo dovere di una Comunità militante è quello di forgiare uomini: uomini nuovi, uomini veri. Prima dell’azione politica, prima delle iniziative esterne, prima di tutto viene la formazione, che non è solo culturale (non basta leggere libri) ma è soprattutto etica. La nostra società moderna sforna uomini completamente svincolati dalle tradizioni, sradicati (nel senso letterario “senza radici”) dalla propria civiltà. Sta a noi ritrovare, rendere vive, emozionanti, vere e belle le tradizioni. Non ci si può aspettare frutti se non si sono tenute riparate dal gelo le radici, se non si sono nutrite (anche con il concime del nostro sudore e del sangue dei martiri); se non si è curata la crescita del tronco (anche potando i rami secchi o quelli inutili)… Solo così si avranno – a primavera – nuovi fiori e nuovi frutti!