Rassegna Stampa

Note alternative e ribelli

Testata: IL FONDO

Data:15 settembre 2008
Autore: Francesco Mancinelli
Tipologia: Intervista

Locazione in archivio

Stato:Solo testo
Locazione: ASMA-Archivio digitale RS,Web/Il Fondo,Il Fondo 2008-09-15

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L’arma più forte è la musica

Intanto un grazie a Cristina Di Giorgi (Note alternative, Ed. Trecento), che prima degli “altri” è riuscita nella stesura di questo lavoro sulla cosiddetta “musica alternativa”. Il rischio infatti era che un altro pezzo della storia militante “nazional-rivoluzionaria” italiana finisse nella rielaborazione indiretta di studiosi “non-omogenei” all’area e che spesso (tranne alcune eccezioni) quando elaborano e commentano, non comprendono fino in fondo le ragioni profonde e la complessità di questo spaccato di mondo. Se c’è infatti un’area politica e culturale dove la “reductio ad unum” non funziona e non corrisponde a verità, è proprio “a destra”. Da oggi se si vuole scrivere qualcosa sulla musica alternativa, si dovrà necessariamente tenere conto di questo libro e del suo valore documentale. Anche perché non dovrà e non potrà necessariamente essere l’ultimo. Serviva infatti un primo elaborato analitico e sommario che completasse il lavoro di ricerca e catalogazione certosina dell’Associazione Lorien, la vera struttura che ha permesso la sopravvivenza, tra le pieghe della storia e della cultura nazionale, della memoria di questo repertorio lirico incredibile, unico, formidabile e non secondo a nessuno. Lorien ha contribuito soprattutto a che non andasse dispersa la vastissima consistenza documentale del macro-fenomeno intero, raccogliendo e catalogando anche ciò che ad occhi inesperti e superficiali sembrava essere superfluo. Grazie quindi alla “Lorien” e al suo estremo impegno, fonti, dati, informazioni, autori, testi, concerti, iniziative e foto, non sono andati per sempre nel dimenticatoio e sono oggi fruibili.

Se fosse stato infatti per le strutture “istituzionali o classico-militanti della destra” (e ci metto dentro anche l’area della destra radicale, anche se solitamente è più sensibile alla materia) sarebbe sparito tutto, azzerato, rimosso come un’inutilità, se non addirittura come una “grana storiografica” da destinare all’oblio. Non si ha ancora oggi idea, nel cosiddetto “ambiente”, di che cosa sia un istituto storico, un centro di documentazione, una fondazione, a che cosa possano servire nel tempo e per la ricerca. E questi limiti, signori miei, sono limiti consustanziali e culturali, non addebitabili all’ostracismo o alla demonizzazione degli altri. E’ una semplice questione di mediocre mentalità.

La musica alternativa è un’espressione che da sempre mal convive con la “politica politicante”, con quella istituzionale, con i suoi modelli e metodi omologati di comunicazione politicamente corretti e lineari, con i lustrini e la noia devastatrice delle classiche iniziative di partito e di movimento. La musica alternativa ha introdotto “Dioniso” laddove “Apollo” regnava incontrastato, e ha di fatto spodestato la comunicazione razionale e il metodo organizzativo, ha esautorato lo schema classico delle cosiddette strutture parallele. E’ come se da tempo ormai tutto ruotasse intorno ai concerti e alla musica, al rito da consumare, di cui tutto il resto funge da contorno. E questa inversione di valore, a mio avviso, ha anche ormai mostrato i suoi limiti.

Una delle chiavi di lettura della dicotomia politica/metapolitica, che si evince peraltro chiaramente dal libro, è che a destra (uso il termine “destra” ma con i soliti conati di vomito e crampi allo stomaco) non c’è stata mai una convivenza logica e pacifica (come a sinistra) tra politica e meta-politica. Al contrario tutta “la metapolitica a destra” è la diretta rivale, la concorrente-antagonista, la spina nel fianco continua dei soliti scenari di omologazione, di bieco conformismo, di trasformismo acritico e pedante. E questo non riguarda solo il rapporto con la musica, con i concerti, ma anche l’editorialistica in genere, le case editrici, le riviste, i circoli culturali, i pub, le emittenti alternative, il teatro, il cinema, i fumetti, l’arte, la comunicazione. Insomma tutto quello che non è riconducibile, omologabile, bio-degradabile all’organizzazione classica ideologica di destra.

La musica alternativa ha rivendicato per prima, facendo anche la voce grossa, le istanze di uno spaccato di mondo che era il vero protagonista (ad. es. con i Campi Hobbit) e non si è mai ben conciliato ad esempio con i grandi temi delle riforme istituzionali, della gestione dell’economia e/o con gli spettacoli spiccioli di accattivante neutralità culturale tipici della destra. Anche perché il Fascismo nelle sue dinamiche fu tutto tranne che culturalmente “neutrale” (quindi “di destra”): fu invece “gramsciano” per definizione.

Ai tempi del Bagaglino (anni 60?) la canzone di protesta fustigava il mondo circostante, lo accusava di vassallaggio, di vigliaccheria, di pedanteria, di bieco servilismo, di resa. D’altra parte, come mette in luce l’autrice, personaggi come Francesco Pingitore e Mario Castellacci, autore della mitica canzone strafottente ” le donne non ci vogliono più bene”, hanno creato il profilo originario del fenomeno, tanto che qualcuno indica proprio in quel brano storico la nascita della musica alternativa. Se dalla satira intelligente e tagliente del Bagaglino si è passati successivamente all’introspezione, alla commemorazione dei fatti tragici, alla canzone da battaglia, all’esistenzialismo dell’esilio e della sconfitta e spesso anche alla “necrofilia”, è perché la musica alternativa è stata tragicamente dentro lo scontro, in prima fila, e non se ne stava in retroguardia, seduta candidamente dietro le scrivanie e le poltrone, per commentare gli eventi e/o preparare campagne elettorali e finti congressi di rottura. E purtroppo chi ha vissuto solo il tramonto spesso compone e “canta di tramonto” anche se sogna l’alba.

httpv://www.youtube.com/watch?v=wbhJt1ENvlw (Compagnia dell’Anello, Dedicato all’Europa)

Tutti gli autori e i protagonisti dei gruppi musicali sono stati prima di tutto militanti, quadri, organizzatori, leader: nessuno è stato mai “un impiegato della politica”, almeno fino agli ultimi tempi. Tutti i nomi e i cognomi che troverete nel libro hanno questa caratteristica. La musica alternativa rivendica la diversità ideologica, una nuova metodologia esistenziale e comunitaria, la frontiera come espressione, la trincea come visione, “la guerra” al conformismo come via primaria di liberazione. E’ una passione, è un amore totalizzante, è anche una miscela di odio e rabbia che traspare da ogni brano e da ogni nota; un tema che non accenna mai a nessuna ipotesi di distacco tranquillo e accomodante dalla realtà, che non la evade, ma la incarna come scelta radicale ed estrema.

Peraltro Cristina ha avuto l’intuizione di inserire all’interno del testo una ricostruzione piuttosto analitica e corretta di 30-40 anni della storia politica, proprio per fotografare lo scenario delle “piccole tempeste d’acciaio” in cui è divampato il fuoco, il perimetro entro cui la musica alternativa è nata, è cresciuta e si è evoluta, anche con cambiamenti di genere e di stile. E ha legato la storia dei gruppi, alle vicende politiche, alle diverse fasi, ai cambiamenti dovuti anche alle influenze estere e ai cambi generazionali tra i protagonisti. Interessanti sono poi il quadro della ricerca fotografica e la ricostruzione dei testi attraverso le linee di ispirazione: dal mito, alla storia antica, alle battaglie sociali, agli scenari militanti. Un lavoro che sarebbe stato indubbiamente difficile se l’autrice avesse dovuto spaziare analiticamente tra tutte le migliaia e migliaia di testi e le centinaia di gruppi ed autori che hanno alimentato il fenomeno.

I generi presenti nella musica alternativa sono gli stessi del patrimonio musicale della società civile: rock-pop, hard, cantautori, underground, Ska e Oi (praticati anche dai concorrenti e coetanei della sinistra), musica elettronica, melodie tradizionali e medievaleggianti, combat e modern folk…Insomma ci si trova veramente di tutto. E’ un mondo che interagisce ma non si omologa, che spesso copia ma quasi mai imita, che cammina a fianco della società civile, la osserva e se ne distacca aristocraticamente. Poche esperienze nate nella musica alternativa a mio avviso hanno però passato il guado e sono udibili da platee di spettatori “altre da noi”. Forse questo è il vero limite? Forse… L’espressione artistico-musicale del Risorgimento e del Fascismo (l’avanguardia che diventa Popolo) non è nel dna della musica alternativa, che quindi per ora non entra nel repertorio condiviso della cosiddetta musica popolare. Fino ad oggi la musica alternativa ha continuato a vivere solo di esperienze di avanguardia (e a volte, nei temi, purtroppo anche di “retroguardia”) ma il cosiddetto “popolo” ascolta altro e vive altri riti, meno particolari e meno trasgressivi, almeno per ora.

Per chiudere va detto che il fenomeno, anche se sotto diverse terminologie (Rock Identitario, Underground, Combat-Folk), continua ad essere in lenta e continua espansione, coinvolge, alimenta le attività e la mobilitazione, moltiplica i gruppi e le espressioni, e questo nonostante “il nulla politico” che inonda questo nostro tempo. Va ricordata, ad onor del vero, come esperienza di punta degli ultimi anni, quella degli ZetaZeroAlfa, che attraverso un’azione spregiudicata e di “marketing oriented” sono riusciti a costruire dalla musica l’ultima frontiera della mobilitazione totale, un immaginario vincente, intelligente, che è divenuto fenomeno di massa, tendenza giovanile, progetto politico dirompente, sfida futurista.

Ancora un grazie a Cristina un grazie a Lorien e un grazie a tutti coloro che hanno contribuito e contribuiscono da sempre a tenere vive le “note ribelli”.

Francesco Mancinelli


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