Rassegna Stampa

Gente e fatti

Testata: ROMA

Data:11 luglio 1966
Autore: Marcello Zanfagna
Tipologia: Specifico

Locazione in archivio

Stato:Copia
Locazione: ASMA,RS2-0002,17

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GENTE E FATTI

UNA VOCE ITALIANA SUL MURO DI BERLINO

Il 31 dicembre del 1965 un cantautore italiano Leo Valeriano si recò dinanzi al muro della vergogna,, presso un posto di frontiera, laddove, qualche mese prima, i "vopos" avevano lasciato morire dissanguato Peter Fetcher colpevole di voler lasciare l'inferno rosso per vivere in un mondo dove almeno esiste un minimo, di libertà. Era quasi sera ed il giovane cantante Italiano, accompagnato da alcuni amici, cominciò a cantare canzoni di nostalgia e d'amore, prima in italiano, poi in francese ed in tedesco. Ad un tratto, mentre i comunisti gli puntano i binocoli e qualcuno di essi mette a fuoco la macchina fotografica munita di teleobiettivo per riprendere lo strano menestrello. Leo Valeriano si avvicina ancora di più al filo spinato, si ferma con dentro agli occhi una luce di fuoco, e quasi picchiando sulle corde della chitarra intona a voce altissima una canzone che parla di libertà e di speranza. E' come una sfida, il cantautore grida cantando che lì. su quel muro insanguinato, non può finire e non finirà la libertà, e, ancora, che solo quando esso potrà essere abbattuto il mondo potrà ritrovare la strada della pace.
Sì, è come una sfida lanciata da un giovane biondo armato di chitarra uno che è arrivato a Berlino da Roma non per guadagnare una manciata di soldi in un night ma per una rivolta dello spirito, per l'affermazione di ideali comuni a tutti gli uomini liberi. Leo Valeriano canta ed avanza verso i vopos gli amici gli gridano di tornare indietro, i tedeschi che hanno seguito la scena applaudono commossi, alcune donne piangono benedicendo quel ragazzo italiano. I comunisti ascoltano interdetti quella ballata, poi ne comprendono appieno il significato e puntano I mitra forse solo per intimidire il menestrello. Leo Valeriano prosegue, cantando, verso la Zimmestrasse, va verso la croce che ricorda il sacrificio di Fechter, s'inginocchia bacia le zolle di quella terra insanguinata.
Era il 31 dicembre 1965. Ieri distanza di qualche mese, un altro giovane romano, anch'egli armato di chitarra, ha lanciato il suo grido d'amore, cantando, sul muro della vergogna.
Cera l'on. Moro, a Berlino, era arrivato da poco nella città che ormai rappresenta il simbolo del mondo libero per riaffermare gli Ideali europeistici, si era appena Incontrato con il presidente Luebke. quando un romanino, Carlo Breschi, ha intonato una canzone, romanesca, scritta e composta da lui, una ballata che parla di libertà, di ideali insanguinati e di giustizia, calpestata, di speranze che non muoiono e finisce con l'invettiva: "Assassini, assassini"
Un episodio, un piccolo episodio che si ricollega. al primo, a quello che ebbe a protagonista Leo Valeriano; ma è un episodio che a noi, inguaribili idealisti, sembra importante. Importante perché sul muro della vergogna veniva lanciata un'altra sfida in coincidenza' con la visita ufficiale del presidente del Consiglio, importante perché era un giovanissimo italiano a gridare lo sdegno del mondo libero, ad invocare giustizia, a ribadire il concetto che proprio lì a Berlino è sospesa ad un filo la pace del mondo, a rinverdire la speranza che la Germania possa riunificarsi e che, come ha detto Moro, "questo suo riassurgere ad unità possa essere uno dei contributi fondamentali alla causa della pace tra le Nazioni alla quale è volta la più fervida aspirazione di tutta l'umanità

Marcello Zanfazna


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