Archivi giornalieri: 9 Giugno 2016

Colonia di rovegno – La Storia

La Colonia Montana fu progettata e realizzata dall’Ingegnere Camillo Nardi Greco, risulta iscritta al catasto urbano del Comune di Rovegno, come colonia montana Lavillà, alla partita 107, foglio 83, mappale 135, intestata al Commissariato Provinciale della Gioventù Italiana del Littorio per un volume complessivo di 28.709 metri cubie di circa 1.800 metri quadrati per piano. Costruita in soli sette mesi, fu inaugurata il 29 luglio 1934 dal segretario amministrativo del partito nazionale fascista Giovanni Marinelli come “Colonia Montana della Federazione dei Fasci di Combattimento di Genova”. Alta tre piani, si presentava come una struttura all’avanguardia dotata delle più moderne strutture: di grandi dormitori, refettori, cucine, uffici, infermeria, servizi igienici con doccia, terrazze e di un notevole apparato sportivo comprendente palestra, campi da tennis, campi da calcio e piscina. La struttura poteva ospitare fino a 450 giovani (il cui soggiorno era completamente gratuito) e circa 200 persone di servizio.

La colonia fu voluta dal Partito Nazionale Fascista di Genova, ma non ebbe alcun costo per lo stato, in quanto i fondi necessari per la sua edificazione furono reperiti con una sottoscrizione a cui aderirono famiglie e abitanti della città che se ne fecero onere. Fu realizzata con lo scopo di permettere ai figli delle famiglie meno abbienti e più povere di poter trascorre un periodo non solo di villeggiatura, ma anche di prevenzione per le malattie polmonari. Infatti, molti dei giovani che arrivavano in questa colonia provenivano dal centro storico della città ligure che all’epoca era fortemente inquinato a causa dell’industrializzazione del porto. Per questo motivo il fulcro del soggiorno estivo riguardava la prevenzione della tubercolosi tramite cure elioterapiche ed attività fisica.

Nel 1939 la struttura fu ampliata con la costruzione di un grande chalet, a ovest della struttura, adibito ad infermeria che incrementò i posti letto da 450 a 500. Svolse regolarmente la sua attività di colonia estiva fino al settembre del 1943 quando venne abbandonata a causa dello scoppio della guerra civile.

Dopo il settembre del 1943 e l’inizio della Resistenza in Liguria con la costituzione della VI Zona Operativa, la colonia – sia per la sua posizione isolata che per la sua ampia struttura – fu sequestrata dai partigiani e diventò comando della Divisione Garibaldi “Cichero” comandata dal Sotto tenente di Complemento del genio Aldo Gastaldi (Bisagno) che la fondò con il comunista Giovanni Serbandini (Bini). Altre persone di rilievo della brigata furono G. B. Canepa (Marzo), Athos Bugliani (commissario Lucio), vice comandante Dino, vice commissario Nino, intendente Martini, vice intendente Nero.

Lontana dalle vie di comunicazione, nascosta dalla vegetazione alla ricognizione aerea, facilmente difendibile, diventa quindi un grande e sicuro covo per i partigiani comunisti delle brigate garibaldine della 4° zona operativa, Oreste, Arzani, Aliotta, Gramsci e Jori, tutte appartenenti alla Divisione Cichero.

Oltre che sicuro rifugio per i partigiani rossi, la ormai “ex colonia” divenne un terribile luogo di detenzione e tortura per i civili sfollati in zona, quelli benestanti, i quali rappresentavano un ghiotto boccone per i partigiani ma soprattutto per i militari e civili aderenti alla Repubblica Sociale Italiana e anche per i soldati tedeschi catturati dai partigiani.

Dal dicembre del 1944 al 30 aprile 1945 si susseguirono uccisioni ed i boschi attorno alla colonia si riempirono di fosse: cadono i militi diciassettenni, viene ucciso il Maggiore Garibaldo, ufficiale dei bersaglieri eroe della Grande Guerra, muore sotto le raffiche di sten la giovane Bianca Canavesi accompagnata alla morte da un anziano magistrato, viene assassinato il giovanissimo Dino Campora di Sarezzano (AL), muoiono gli ufficiali tedeschi e cadono i loro soldati, quei “mongoli” della 134ª Divisione Turkestan volontari contro il comunismo. Si svuota la bella colonia e si riempiono le fosse; in una, la più grande, verranno trovate 39 salme. Gli ultimi a cadere sotto il piombo inglese sparato da mano fratricida sono le due persone più “importanti”, il Tenente Colonnello Celeste Giannelli, comandante della Brigata Nera di Tortona, il cui figlio è già stato ucciso, ed il militare Paolo Grazzini, figlio del vicefederale di Genova. Forse avrebbero potuto servire per uno scambio di prigionieri, ma quel giorno non servono più, è il 29 aprile, la guerra è finita.

Nei mesi successivi inizia il calvario dei familiari per il recupero delle salme, dalle fosse vengono estratti i miseri resti deturpati dalla decomposizione e dagli animali: 72 italiani e 3 tedeschi avranno un nome, per altri 85 uomini nessuno potrà mai testimoniare l’identità. Quando la sorella di Grazzini chiese ad un partigiano “Perché li avete uccisi?”, ricevette una risposta agghiacciante “Erano fascisti e poi non potevamo lasciarli andare per come erano ridotti”. Per anni i contadini e i boscaioli trovarono resti umani fra gli alberi. Qualcuno consegnò alle autorità i ritrovamenti, ma la maggior parte andò diperso. Una nota della Questura di Genova, (div. Gabinetto prot. 102030) del 31 gennaio 1946, presumeva che nei boschi circostanti giacevano circa 600 morti.

Dopo la Liberazione, ospitò ancora bambini in vacanza, a cura dei religiosi del Don Bosco, ma fu definitivamente dismessa negli anni ’60. Passò poi alla Regione Liguria, che alla fine degli anni Settanta la cedette al Comune di Rovegno il quale, nel 2004, la vendette alla società San Martino di Lacchiarella (MI) che avrebbe dovuto realizzare una struttura per i politraumatizzati da incidenti stradali, poi è passata all’associazione San Francesco di Sacile (PN). Quest’ultima, intorno al 2011, l’ha ceduta alla società WDN con sede a Southampton che probabilmente è una società fantasma, infatti il Comune di Rovegno non riesce a risalire a questa società per l’ICI non corrisposta.

Nel 1994 fu apposta una lapide commemorativa in corrispondenza dell’ingresso principale, che negli anni successivi fu distrutta da ignoti. Su interpellanza del gruppo consigliare di Alleanza Nazionale, nel 2000, la Giunta della Provincia di Genova finanziò il ripristino della lapide in bronzo. Nuovamente distrittutta nella seconda metà degli anni 2000, la lapide è stata riposizionata per la terza volta il 12 giugno 2016.

Ad oggi la struttura è in stato di totale abbandono. Lasciata al degrado e al vandalismo stupido e fine a se stesso di gentaglia ignorante, è ridotta in uno stato indescrivibile. Non vi è più una porta intatta, i tramezzi sono sfondati, il soffitto pende a tratti sino al pavimento, sbrecciato anch’esso, i pochi muri intatti sono ricoperti di scritte e disegni osceni ed ingiuriosi, ovunque materassi lacerati, mobili distrutti e tracce d’incendio come documentato nella foto scattate il 4 giugno 2016.


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